Prima nel piccolo ospedale dell'Aquila, il G8, poi a Genova al San Martino e ora anche al Niguarda di Milano. Da una decina di giorni come nel gioco del domino una casella spinge l'altra e uno dietro l'altro riaprono i reparti Covid e si riattivano anche i letti di terapia intensiva.
La curva epidemica cresce lentamente ma all'aumento dei casi a distanza di qualche giorno sale anche il numero di quelli gravi. Non più soltanto asintomatici e paucisintomatici ma pazienti più anziani o fragili tali da richiedere anche un ricovero che in caso di aggravamento può poi passare dal regime ordinario a quello di sub intensiva o intensiva.
All'ospedale Niguarda a fine giugno avevano festeggiato la chiusura dell'ultimo reparto di intensiva dedicato al Covid che ieri invece ha riaperto. Per ora soltanto con tre pazienti ma se saliranno a 4 la direzione sanitaria riaprirà il padiglione Rossini, un dipartimento ad hoc dedicato ai contagiati da Sars Cov2. É già da una decina di giorni che al Niguarda si assiste ad un aumento dei ricoveri da Covid ma fino ad ora era stato sufficiente accogliere i pazienti nel dipartimento Malattie Infettive. La riapertura del reparto ad hoc è il segnale che la ripresa prevista per la stagione fredda è iniziata.
Ma come si prospetta l'autunno? Le regioni ora sono in grado di affrontare una eventuale recrudescenza del coronavirus alla luce di quanto hanno imparato nei mesi scorsi?
Quando in Italia è stato scoperto il primo caso di coronavirus la disponibilità di posti letto in intensiva era di circa 5.100 unità. Nel pieno dell'emergenza quando hanno cominciato a saturarsi i reparti la risposta è arrivata in tempi relativamente brevi nelle regioni più colpite: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte. Complessivamente i posti a disposizione sono saliti ad oltre 9mila. I letti di terapia intensiva occupati da pazienti Covid19 sono saliti all'inizio di aprile oltre i 4mila. E ovviamente gli ospedali devono rispondere anche per tutte le altre patologie che richiedono ricoveri in emergenza.
Le regioni più colpite dalla prima ondata però partivano da una situazione abbastanza solida dal punto di vista dei numeri. I posti letto di intensiva prima dell'incremento richiesto dall'emergenza in Lombardia erano circa 600 poi saliti a 900 per arrivare a garantirne alla fine 1.260 ovvero oltre il fabbisogno perché poi la curva a cominciato a scendere.
In Veneto, la regione che per prima ha puntato sul monitoraggio su larga scala, erano circa 500 e nel corso dell'evoluzione dell'epidemia sono saliti a quasi 900. L'Emilia ne aveva poco meno di 500 e la Liguria da 186 li aveva incrementati ad oltre 200. Diversa la situazione per le regioni del sud e le isole. La Sardegna ad esempio ha un centinaio di posti in terapia intensiva che dovrebbero poter superare i 160 in caso di bisogno. Ma già una settimana fa il direttore sanitario dell'ospedale Covid di Cagliari, Sergio Marracini, lamentava che gli otto posti disponibili per i pazienti Covid erano esauriti e che dunque si doveva occupare la seconda terapia intensiva che invece doveva accogliere i no Covid. Insomma si profila una situazione già vista, quando gli ospedali sotto pressione a causa dell'epidemia hanno sospeso tutte le altre attività con una crescita esponenziale delle liste di attesa ancora tutta da smaltire. Preoccupazione anche per la Campania dove ieri i nuovi casi sono saliti a 245 con 30 in intensiva.
Qui i reparti per i più gravi dovrebbero arrivare a 600. A Napoli si stanno attivando posti letto negli ospedali di Frattamaggiore e Santa Maria delle Grazie. Picco dei ricoveri in intensiva nel Lazio, 38, dove i posti letto disponibili arrivano a 700.
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