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"Ridurre le pene a Geronzi e Arpe"

Parmalat, la Cassazione ordina un nuovo processo di appello: accuse fondate ma condanne esagerate

Cesare Geronzi e Matteo Arpe quando erano ai vertici  di Capitalia
Cesare Geronzi e Matteo Arpe quando erano ai vertici di Capitalia

Tra poco saranno passati undici anni dall'incredibile Natale del 2003, quando Calisto Tanzi venne arrestato al rientro da un misterioso viaggio in Sudamerica. Ma la parola «fine» su uno dei capitoli più eclatanti del caso Parmalat ancora non è arrivata. Ieri sera, dopo una lunga camera di consiglio, i giudici della Cassazione hanno ordinato un nuovo processo a carico di Cesare Geronzi, Matteo Arpe e degli altri sei manager accusati di avere aggravato a dismisura il crac del gruppo di Tanzi, approfittando scientemente del disastro immimente. Per la Cassazione, Geronzi e Arpe sono colpevoli di concorso in bancarotta. Ma ci vorrà un nuovo processo davanti alla Corte d'appello di Bologna - e poi, verosimilmente, un'altro passaggio in Cassazione - perché la giustizia quantifichi le pene da infliggere agli ex vertici di Capitalia. Le pene verranno riviste al ribasso perché alcuni tasselli del capo d'accusa sono caduti. Ma nella sostanza, la Cassazione ha fatto propria la ricostruzione dei giudici d'appello: Geronzi e Arpe furono corresponsabili del peggior disastro della storia imprenditoriale italiana.

La quinta sezione penale della Cassazione ha annullato «con rinvio» la sentenza bolognese che nel 2013 aveva condannato Geronzi per bancarotta fraudolenta e usura, condannandolo a cinque anni di carcere, e Arpe a tre anni e sette mesi per il solo reato di bancarotta. Ad accusare i due, che all'epoca del crac di Collecchio erano rispettivamente presidente e direttore generale di Capitalia, la procura di Parma era arrivata partendo dalle parole di Tanzi: che, negli interrogatori in carcere, aveva accusato Geronzi di averlo costretto ad acquistare la Ciappazzi, una azienda decotta di acque minerali di Giuseppe Ciarrapico, in cambio di un finanziamento per tenere in piedi Parmatour, la disastrata holding di Collecchio nel settore viaggi&Vacanze. Gli effetti devastanti del sostegno di Capitalia a Tanzi vennero così descritti nel provvedimento con cui nel 2005 Geronzi venne interdetto dalla carica di presidente di Capitalia: «L'artificiosa protrazione dello stato di decozione del gruppo Tanzi avrebbe cagionato nel solo periodo dal 31 dicembre 2002 alla data del default un aggravamento dello stato del dissesto che le stime del commissario Bondi hanno quantificato in non meno di 3 miliardi di euro». Un aggravamento le cui conseguenze ricaddero per intero sulle spalle delle decine di migliaia di risparmiatori rovinati dal crac di Parmalat.

Tanzi oggi è detenuto agli arresti domiciliari in clinica, a causa di condizioni di salute sempre più precarie. Ma l'onda lunga delle sue confessioni non ha finito di lambire le aule di giustizia. Quelle nei confronti di Geronzi - che incolpava di avergli rifilato anche un altro carrozzone, la Eurolat del gruppo Cragnotti - ieri sono ritenute dalla Cassazione sufficienti per dimostrare il suo concorso nella catastrofe di Collecchio, e lo stesso vale per Arpe e gli altri imputati. «Geronzi e Tanzi si fregavano l'un l'altro», aveva sostenuto il procuratore generale Pietro Gaeta, che se l'era presa anche con la linea difensiva di Matteo Arpe, che diceva di essere stato a Eurodisney con i figli quando venne firmato il finanziamento a Tanzi: «Si vuol fare credere che Arpe sia stato raggirato dai suoi fedelissimi che gli avrebbero messo sotto il naso da firmare un finanziamento da 50 milioni dicendo “firma firma“». La Cassazione fa propria questa tesi.

Ma per ora Arpe può restare al suo posto, perché anche sulla durata della interdizione dalle cariche sociali dovrà pronunciarsi il nuovo processo d'appello.

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