di Livio Caputo
Neppure il famigerato inverno russo è bastato a mantenere la tregua: la guerra tra l'esercito ucraino e i separatisti della Repubblica di Donetsk, che dopo l'armistizio di settembre e una bozza di accordo sul ritiro delle armi pesanti sembrava perdere gradualmente di intensità, è riesplosa con violenza ed è ormai diventata la più sanguinosa combattuta in Europa dopo il conflitto nei Balcani. Con i 262 morti dell'ultima settimana, le vittime «ufficiali» sono salite a 5086, ma si ritiene che in realtà siano molte di più; e con la piega che hanno preso le cose, c'è da temere che non solo saliranno ancora, ma che il fronte dei combattimenti possa ulteriormente allargarsi, portando i rapporti tra l'Occidente e la Russia ai limiti di rottura proprio quando in Europa si era riaccesa la speranza che si potesse cominciare ad allentare un regime di sanzioni che sta danneggiando tutti quanti.
Le cose hanno cominciato a precipitare la scorsa settimana quando i separatisti, rinforzati secondo fonti Nato - da 9.000 soldati russi che sarebbero entrati nel Donbass, come in Crimea, con uniformi senza mostrine, si sono impadroniti dell'aeroporto di Donetsk e poi hanno cominciato ad avanzare verso Ovest. Gli ucraini hanno cercato di reagire, e un loro colpo di mortaio ha colpito un autobus di civili che si stavano recando al lavoro, facendo tredici morti.
Per tutta risposta, i ribelli hanno scatenato ieri una offensiva verso Mariupol, una città di 400mila abitanti sulle rive del mare di Azov la cui conquista aprirebbe un corridoio tra le province secessioniste e la Crimea, ormai saldamente in mani russe. Una pioggia di razzi Grad ha provocato una strage: almeno 30 morti e quasi cento feriti tra i civili, colpito anche un mercato. Poi è partito l'assalto militare. Secondo le ultime notizie, gli ucraini, pur subendo forti perdite, sarebbero riusciti a contenere l'attacco ma il presidente della repubblica di Donetsk, Zakharchenko, ha avvertito Kiev di essere in grado di avanzare contemporaneamente su tre direttrici. Risposta del presidente ucraino Poroshenko (rientrato precipitosamente dall'Arabia Saudita): «Li annienteremo».
Ma il suo esercito, pur rinforzato da reparti di volontari, non appare in condizione di sostenere una offensiva se questa fosse davvero (il Cremlino, naturalmente, nega) sostenuta dall'apparato militare russo. Ancora una volta, il grande interrogativo è che cosa si propone veramente Putin. Sembra che, nelle ultime settimane, una parte del suo entourage lo abbia consigliato di cercare un accomodamento con l'Occidente, perché la combinazione delle sanzioni e del crollo del prezzo del petrolio hanno messo in grave crisi l'economia russa, con una perdita del 5% di Pil. Ma lo Zar, confortato da sondaggi secondo i quali la sua linea dura mantiene il consenso popolare, avrebbe deciso di proseguire nella sua sfida. Nessuno, tuttavia, sa quale sia il suo obbiettivo finale. Annettersi il Donbass (e Mariupol) come ha fatto con la Crimea? Imporre a Poroshenko una Costituzione federalista che lasci alle province separatiste la massima autonomia? Bloccare l'avvicinamento dell'Ucraina alla Ue e soprattutto impedire la sua adesione alla Nato (che peraltro anche numerosi membri dell'Alleanza, a cominciare dal nostro Paese, non vogliono)? Egli non può non rendersi conto che né la Ue, e tantomeno gli Usa, potrebbero tollerare una seconda modifica dei confini: ieri Federica Mogherini a nome dell'Ue ha invitato Mosca «a usare la sua considerevole influenza sui leader separatisti e a fermare ogni forma di sostegno militare, politico ofinanziario: questo eviterebbe conseguenze disastrose per tutti». Quanto a fermare la deriva dell'Ucraina verso l'Unione Europea, è impossibile fino a quando a Kiev rimarranno al potere Poroshenko e il suo (ferocemente antirusso) primo ministro Yatsenyuk.
Bisogna tuttavia tenere conto che la piega che il proseguimento del conflitto, la quasi bancarotta di Kiev che dipende sempre più dal sostegno finanziario di Bruxelles e l'assenza di riforme hanno reso l'Ucraina assai meno popolare in Europa di quanto non fosse ai tempi della rivolta di piazza Maidan.
Paradossalmente, la più dura a sostenere il mantenimento delle sanzioni fino a quando la crisi non sarà risolta è ora la Germania, che pure ne soffre economicamente più di tutti. Ora, comunque, la priorità è di fermare i combattimenti; e, dopo il fallimento degli accordi di Minsk, che pure erano stati conclusi al massimo livello, non si sa da che parte cominciare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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