Roma Grande è la confusione sotto il cielo, ma la situazione non è eccellente e l'odore è spiacevole. Da San Giovanni al Casilino, dal Nuovo Salario a Prati, dal centro alla periferia Roma annega nei rifiuti. Cassonetti strabordanti, sacchetti, bottiglie e liquami bolliti dal caldo che invadono la sede stradale: mentre il sole di luglio incombe, la Città eterna è alle prese con una nuova emergenza. L'ennesima cartolina della vergogna, che si trasforma in ping pong politico di accuse incrociate tra il sindaco, Virginia Raggi, e il governatore del Lazio Nicola Zingaretti. Con la prima che in una missiva spedita a premier, ministero dell'Ambiente e Regione ha evocato una crisi «pilotata», un complotto, magari ordito «per logiche commerciali», che di certo ha messo in difficoltà un Campidoglio già in costante affanno nel gestire l'ordinaria amministrazione, accusando Zingaretti di non «collaborare», non avendo imposto agli impianti regionali di accogliere la monnezza romana fino al massimo della capienza. E con il governatore che ha replicato, secco, che le colpe sono dell'Ama (che da parte sua ha «rassicurato» tutti, prevedendo il superamento della crisi «per Natale»), e dunque ha respinto le accuse al mittente, invitando la Raggi ad assumersi le proprie responsabilità. Proprio ieri, d'altra parte, la Regione ha annunciato che, in collaborazione col ministero dell'Ambiente, emanerà un'ordinanza che spingerà tutti gli impianti di trattamento rifiuti nel Lazio ad aprire le porte all'immondizia proveniente dalla Capitale «per motivi di urgente necessità di tutela dell'ambiente». Un passo deciso dopo l'incontro tra l'assessore regionale Massimo Valeriani, e il ministro dell'Ambiente, Sergio Costa.
Ma proprio dal vertice arriva una bacchettata, severa, all'Ama e alla Raggi, che pure ieri aveva visto il ministro Costa, vicino ai pentastellati, per studiare strategie. Ma ora, dalla riunione Ambiente-Regione, arriva un diktat all'agenzia ambiente di Roma perché spazzini e compattatori si mettano al lavoro e si diano una mossa per ripulire la città. Serve, spiega la nota della Regione, accelerare per «raccogliere in breve tempo tutti i rifiuti attualmente giacenti sulle strade della Capitale, ripulendo e ripristinando le condizioni di igiene e di decoro urbano». Ma si chiede anche agli amministratori di rimettere ordine nel caos, tra ritardi nei pagamenti ai fornitori e problemi strutturali dell'azienda che si occupa della raccolta. La municipalizzata dovrà anche assicurare la funzionalità di idonee infrastrutture; la disponibilità di ulteriori impianti di trattamento mobili; ristabilendo il regolare pagamento dei fornitori. Si profila, insomma, un'altra pagina dimenticabile per la Capitale. La crisi dei rifiuti viene immortalata anche dai turisti costretti allo slalom tra i cassonetti che tracimano sudiciume, mentre si moltiplicano gli allarmi sanitari e gli «avvistamenti» di topi, insetti e gabbiani intenti a banchettare. Con il ministro Costa che, però, fa il pompiere e dice che «non c'è alcuna emergenza sanitaria ma solo una criticità ambientale». Il tutto con la scadenza della tariffa rifiuti che incombe. E che, con queste premesse, profuma di beffa.
Intanto, a Roma, la polizia ha il tesoro delle cosche calabresi impiantate in città.
Ferrari, ville, supermercati, allevamenti e 173 appartamenti per 120 milioni di euro. Commercialista d'eccezione per il clan originario di Africo, Massimiliano Cinti nipote del boss Enrico Nicoletti, il «cassiere» della banda della Magliana.
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