Roma - Da catalogare alla voce «effetti indesiderati della riforme». Quota 100, l'anticipo della pensione a 62 anni con almeno 38 di contributi, costerà molto. Il governo ha messo a bilancio sette miliardi di euro, ma potrebbero essere di più, visto che gli effetti delle riforme previdenziali sono largamente imprevedibili.
Tutto dipende da quante persone decideranno di usufruire della possibilità di ritirasi dal lavoro in anticipo. Il governo ha previsto 500mila uscite, ma l'opportunità di bypassare la Fornero potrebbe tentare molti altri. Innanzitutto chi teme che, dopo questo exploit, la normativa ritorni restrittiva. Oppure chi, magari spinto dal datore, si pensiona per poi tornare a lavorare in azienda con un contratto di collaborazione.
L'ultima indiscrezione nata a margine del varo della Nota di aggiornamento del Def è la risposta a questa preoccupazione. In sintesi, il governo sta pensando di reintrodurre il divieto di cumulo tra redditi da pensione e da lavoro, ma solo per chi usufruirà di quota 100.
Questo il piano. Chi andrà in pensione a 62 anni non potrà lavorare. Oppure subirà una penalizzazione, un taglio dell'assegno che potrebbe azzerare o ridurre notevolmente il reddito da lavoro.
Una vecchia tradizione che risale a quando, per mitigare la generosità delle pensioni anticipate (quelle di vecchiaia non sono mai state colpite dal divieto di cumulo) si introdusse il taglio dell'assegno per chi arrotondava la rendita.
Il governo gialloverde si inserisce in questa tradizione, ma potrebbe andare anche oltre. Ai tavoli tecnici che stanno lavorando alla riforma si è anche pensato di introdurre un divieto assoluto di lavorare per i beneficiari di quota 100.
Questo perché l'obiettivo della riforma, oltre a favorire chi si trova in età da pensione, è quello di fare entrare giovani nel mondo del lavoro, «promuovere il rinnovo di competenze professionali necessarie a supportare il processo di innovazione», si legge nel Def. L'attuale regime, «impedisce alle imprese il fisiologico turnover delle risorse umane impiegate». Invece bisogna «dare spazio alle nuove generazioni interrompendo il paradosso per il quale giovani, anche con elevata istruzione, rimangono fuori dal mondo produttivo mentre le generazioni più anziane non possono uscirne».
Piccolo particolare, questo tipo di divieto è uno di quelli ad altissimo rischio di fallimento. Il divieto di cumulo fu abolito dal governo Berlusconi nel 2008. «Io appartengo alla generazione di quelli che lo hanno abolito», spiega l'esperto di previdenza Giuliano Cazzola. «Il motivo è semplice, non funzionava». Penalizzare un pensionato che vuole lavorare significa incoraggiare il lavoro nero. Vietargli addirittura di svolgere un'attività lavorativa non può che avere lo stesso effetto. «È naturale cercare di scoraggiare la fuga di lavoratori», peccato sia praticamente impossibile, sintetizza Cazzola.
Da qui la decisione dell'allora ministro del Lavoro Maurizio Sacconi di abrogare il divieto di cumulo, sulla base di una semplice considerazione. Se un pensionato lavora, versa contributi e finanzia quel sistema previdenziale del quale è anche «cliente».
A ben guardare le due scelte - permettere il cumulo o vietarlo - sono frutto di due filosofie diverse. La prima è di chi pensa che la ricchezza vada creata con il lavoro, la seconda di chi crede che vada solo redistribuita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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