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Riforme, il Cav avvisa "Non basta l'ok al Senato Il rischio è il referendum"

Il leader azzurro ricorda al premier che nel 2006 la devolution voluta del centrodestra passò alle Camere ma fu bocciata alle urne

Riforme, il Cav avvisa "Non basta l'ok al Senato Il rischio è il referendum"

Roma - Berlusconi avverte Renzi: «Attento al referendum». Seppur in Costa Azzurra a festeggiare il compleanno della figlia Marina e confidando nel «generale agosto» che mette il freno ad avventate decisioni politiche, il Cavaliere manda messaggi indiretti al premier. Il senso dei quali è il seguente: «Matteo, attenzione ad andare alla conta in Senato. Perché se anche avessi i numeri per il rotto della cuffia e riuscissi a portare a casa la riforma costituzionale, avresti vinto una battaglia ma non la guerra. Perché l'ultima parola ce l'hanno gli italiani». Lo dice a ragion veduta, il Cavaliere: nel 2005, infatti, il suo governo approvò la riforma della Costituzione in duplice lettura nei due rami del Parlamento. Anche in quella occasione si abolì il bicameralismo perfetto, si ridusse il numero dei parlamentari (sia alla Camera sia al Senato, ndr ), si introdusse la popolarissima norma antiribaltone e la sfiducia costruttiva. Eppure, andata liscia in Parlamento, la riforma venne cassata dai cittadini che si espressero col pollice verso perché l'opposizione fece una campagna durissima contro. E come finirebbe oggi se tutto il centrodestra più una grande fetta di sinistra antirenziana facesse la stessa cosa? Ecco un elemento forte con cui Renzi deve fare i conti. Non solo. Gli azzurri ricordano al premier le innumerevoli volte che quest'ultimo ha sventolato la parola d'ordine: «Le regole del gioco si scrivono tutti insieme e non ripeteremo l'errore del centrosinistra nel 2001 e del centrodestra nel 2005 che cambiarono la Costituzione a maggioranza».

Insomma, Berlusconi consiglia vivamente a Renzi di non andare al muro contro muro perché a farsi più male sarebbe il premier. E Brunetta lo dice in chiaro: «Renzi dichiari subito questa volontà. E siccome Berlusconi è di parola ci sarà il sì. Non grazie a un accordo tramite intermediari, ma in Parlamento». Naturalmente, però, restano le condizioni forziste in cambio del via libera alla riforma costituzionale restano sul tavolo: Senato elettivo e modifica all'Italicum. Sul primo punto arriva la chiusura a qualsiasi «pastrocchio» come quello ventilato giorni fa di una sorta di «listino» a scorrimento con una quota di candidati al Consiglio regionale da dirottare poi verso il Senato. «Non siamo disposti ad accettare alcun papocchio del genere», giura il capogruppo al Senato Paolo Romani. Altro elemento clou è la legge elettorale che va rivista nella parte in cui si prevede il premio alla lista e non alla coalizione. «Si rischia, con gli attuali rapporti di forza, di avere un partito che con il 25-26 per cento dei voti porta a casa il 55 per cento dei seggi. Sarebbe aberrante, altro che “porcellum”».

Ma c'è un altro tasto su cui puntano i forzisti per scardinare le resistenze del premier: col premio alla lista, oggi come oggi, Renzi andrebbe al ballottaggio con Grillo. Ed è così sicuro di batterlo alla luce del fatto che i sondaggi lo danno in caduta libera? Evidentemente la risposta è «no». Ecco che quindi, al netto delle difficoltà interne al Pd, gli azzurri si aspettano segnali positivi da parte di Renzi e i suoi.

Anche se nessuno scommette che arriveranno segnali in questi giorni: «Non è dato sapere se Renzi sarà ragionevole e aprirà un tavolo di trattativa con noi - dice un senatore forzista - Ma, conoscendolo, se lo farà lo farà all'ultimo secondo utile».

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