"Rischio crisi sul ddl Cirinnà". Alfano abbaia ma non morde

Quaranta senatori di centrodestra presentano ricorso alla Consulta per fare saltare il testo "per manifesta incostituzionalità". Il leader Ncd promette conseguenze politiche. Il Pd non gli crede

"Rischio crisi sul ddl Cirinnà". Alfano abbaia ma non morde

Roma - Il fronte anti-unioni civili tenta l'ultimo contrattacco per bloccare la legge in discussione al Senato. Ieri una quarantina di parlamentari del centrodestra, più la pattuglia di fuoriusciti da Ncd (Quagliariello, Giovanardi, Mauro) ha annunciato un ricorso alla Corte Costituzionale, con l'obiettivo di far saltare il ddl per «manifesta incostituzionalità». Non un ricorso fondato sul merito del provvedimento, ma su cavilli procedurali: si contesta infatti la violazione dell'articolo 72 della Carta, perché il ddl Cirinnà è approdato in aula a Palazzo Madama senza essere stato votato dalla commissione: «Ci è stato impedito di svolgere il nostro ruolo di senatori, violando funzioni e prerogative dei parlamentari», sostengono Quagliariello e Giovanardi sollevando il conflitto di attribuzioni, e chiamando in causa anche il presidente del Senato che non assicura un «iter parlamentare certo». «Obiezioni da azzeccagarbugli», le liquida Grasso. In verità, la decisione di rinviare il testo in aula è stata presa lo scorso ottobre, su impulso del Pd, per tirar fuori il provvedimento dalle secche della commissione dove era bloccato dal luglio 2014 a causa dell'ostruzionismo degli stessi centristi che oggi promuovono il ricorso, e avviarne il dibattito pubblico. Che ieri è proseguito, in un'aula semideserta, in attesa di arrivare la settimana prossima ai primi voti. Gli iscritti a parlare sono ancora molti, e per martedì si è decisa una sorta di seduta fiume che consenta di chiudere il dibattito in serata ed iniziare a votare il giorno successivo.

La speranza del Pd è di arrivare al varo del ddl prima della metà di febbraio, per poi passare un testo «blindato» alla Camera, dove la maggioranza conta su numeri solidi per chiudere la pratica, e annunciare lo storico risultato alla vigilia delle elezioni amministrative.Una prospettiva che continua a mettere in gravi ambasce gli alfaniani, che dopo essere stati scaricati da quel «popolo del Family day» che avevano sperato di cavalcare hanno tentato in extremis di ottenere un ammorbidimento del testo con lo stralcio della stepchild adoption ma sono stati respinti con perdite dal Pd. Dove non vengono prese molto sul serio le minacce Ncd di «conseguenze traumatiche» nel caso in cui la legge venisse approvata senza i loro voti e con una maggioranza trasversale con Cinque Stelle e Sel. I centristi hanno provato negli ultimi giorni a diffondere notizie sull'esistenza di una apertura di Renzi alla «mediazione», che «nei fatti - spiegano dal Pd - non è mai esistita». Per una ragione semplice: il ddl modificato con l'eliminazione delle adozioni non avrebbe più i numeri in Parlamento, dividerebbe il Pd, regalerebbe ai grillini l'alibi per affossare la legge e la giravolta politica non sarebbe difendibile politicamente per il governo. Ieri, dalle colonne di Avvenire, il senatore dem Giorgio Tonini ha offerto un contentino alle anime in pena di Ncd, definendo «interessante l'apertura di Alfano» al voto del ddl senza adozioni.

Per poi precisare subito, però, che lo stralcio sarebbe praticabile solo se «allargasse e non riducesse il consenso alla legge». E siccome tutti sanno che non è così (come dimostra l'immediata alzata di scudi di 17 senatori Pd: «No a qualsiasi arretramento»), la «mediazione» è morta lì, con buona pace di Angelino Alfano.

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