L'Organizzazione Internazionale per le migrazioni ha comunicato che sino a metà agosto erano arrivate via mare in Europa oltre 250mila persone e che 2.300 sono morte. La rotta più letale è quella del Canale di Sicilia. Con questo ritmo, probabilmente a fine anno i morti saranno 3.500. La percentuale di mortalità, però, rispetto a quelli che sono sbarcati, è un po' meno dell'1%. Dato il rischio relativamente basso, un numero crescente di persone provenienti dall'Africa, dal Medio Oriente e dai Paesi asiatici vicini, tenta l'avventura, confidando di trovare la nostra accoglienza. Dunque, c'è una nostra responsabilità rispetto a questo sacrificio di vite umane, un olocausto che colpisce chi ha meno mezzi e ha avuto paura, per sé e per i propri cari, a rimanere dove viveva. La retorica del fare le opere buone non deve far dimenticare che si fa del male a fare male il bene.
Si ripete, in altri modi, ciò che accadde nel Nord America, quando agli inizi dell'Ottocento fu vietata la tratta degli schiavi. Già prima, nel Settecento, il commercio degli schiavi dall'Africa si era sviluppato solo parzialmente per la richiesta di un maggior numero di schiavi per la coltivazione del cotone e della canna da zucchero nei campi del Nord America. In altra parte esso era stato alimentato dal riscatto degli schiavi da parte di enti e persone animati da finalità umanitarie. La riduzione del numero di schiavi, dovuta prima ai riscatti, poi al divieto di farne la tratta, ne aumentò il valore. E ciò incentivò un commercio clandestino, che fece crescere di continuo il numero di schiavi. Anche la mortalità nel percorso per raggiungere le destinazioni aumentò, data la precarietà dei viaggi clandestini. Solo l'abolizione della schiavitù fece cessare questo commercio.
Non basta fare il bene, bisogna farlo bene, il che - purtroppo per i moralisti che ignorano i principi dell'economia politica - implica ragionamenti economici e calcoli finanziari adeguati. Questa arida disciplina non insegna solo a far denaro, insegna anche a fare bene la carità, come diceva Sant'Ambrogio nei suoi saggi. Lui, prima di diventare vescovo di Milano, si era occupato d'amministrazione finanziaria e se ne giovò per la teoria della carità.
Sembra che il governo Renzi ignori l'esistenza dell'Unhcr, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i profughi e rifugiati, che pure ha a Roma una delle sue sedi, con competenza per Italia, Portogallo, Grecia, Albania, Malta.
Il cardinal Bagnasco ha giustamente posto il quesito: «Che cosa fa l'Unhcr?». Io aggiungo, perché invece di puntare sui Comuni italiani, il nostro governo non punta sullo sviluppo dell'assistenza che questo ente sta facendo e può fare per profughi e rifugiati nei Paesi africani, mediorientali, cercando di trovare per loro un futuro con un'occupazione nel proprio continente?
L'Unhcr allestisce gran parte dei campi profughi in Paesi africani e mediorientali che accettano di ospitarli con costi a carico dell'Unhcr. Ma questo ente nel 2014 ha avuto un finanziamento di appena 3,2 miliardi che ha coperto solo il 55% del suo fabbisogno. Il 38% dei fondi è versato dagli Usa, il 2% dal Canada, mentre l'Unione Europea dà solo l'8%, cioè 300 milioni, la Germania 130, la Francia 32, la Norvegia 100, l'Olanda e la Danimarca 70 ciascuna, il Regno Unito 200, mentre l'Italia dà meno di 30 milioni.
Il nostro governo dovrebbe chiedere che l'Unione Europea finanzi di più l'Unhcr per risolvere i problemi nei continenti di origine e informare sui rischi di mortalità nei tentativi di approdare in Italia con i barconi. Anche il monitoraggio delle coste libiche andrebbe fatto in cooperazione con l'Unhcr.
Fu l'abolizione della schiavitù che fece finire la cattura di africani per renderli schiavi e pose fine alla loro morte nella «tratta» illegale.
Analogamente, il traffico illegale e le morti nel mare cesseranno quando questi viaggi di emigrati disperati verso l'Italia finiranno, in virtù di soluzioni migliori di quella di prenderci in carico un numero crescente di immigrati che hanno un destino precario e creano problemi aggiuntivi rispetto a quelli già gravi che ci sono adesso in Italia.
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