L' export è un fattore fondamentale per il successo di un Paese. Ma, da solo, non basta per crescere. Per quanto una economia possa essere competitiva nel commercio internazionale ed avere un importante surplus con l'estero, ciò non è sufficiente a spingere il Pil se la domanda interna diminuisce o aumenta troppo poco. Ciò è stato vero nel recente passato. E sarà ancor più vero adesso che la pandemia del Covid-19 si è abbattuta in modo drammatico sull'economia globale e provocherà nel 2020 e forse anche in parte del 2021 una recessione di portata storica e un crollo del commercio mondiale, come ormai prevedono tutte le maggiori istituzioni internazionali. ()
Il Passato. In Italia, ad esempio, la domanda estera netta (cioè la bilancia con l'estero per i beni e servizi), pur restando ampiamente positiva e quindi agendo positivamente, anno dopo anno, sul miglioramento della nostra posizione patrimoniale internazionale, ha contribuito negativamente alla crescita reale del Pil nel quinquennio 2014-18 rispetto al 2013. Il suo apporto cumulato nel periodo, infatti, è stato negativo per l'1,2% a fronte di un aumento del Pil del 4,6% sostenuto principalmente dalla domanda interna ed in particolare dall'apporto dei consumi privati (+3,4% il contributo specifico di questa voce alla variazione del Pil) e degli investimenti fissi lordi (+1,7%).
In Francia, sempre nel quinquennio 2014-18, il Pil è aumentato cumulativamente del 7,4%, grazie soprattutto ai contributi dei consumi pubblici (+1,4%), dei consumi privati (+3,5%) e degli investimenti fissi lordi (+2,5%), mentre la domanda estera netta, oltre ad essere in deficit, ha anche tolto uno 0,7% circa alla crescita cumulata dell'economia transalpina nel periodo considerato. Perfino la Germania, Paese in grande attivo con l'estero, con il secondo più alto surplus commerciale manifatturiero del mondo dopo la Cina, negli ultimi anni non ha tratto particolare giovamento dal commercio estero per quanto riguarda la dinamica reale del Pil. ()
Questi numeri mettono in evidenza quanto la domanda interna di economie mature sia un asset strategico, un patrimonio di interesse nazionale da preservare e incrementare, essendo diventata con il passare degli anni sempre più il pilastro fondamentale su cui poggia la crescita dei nostri Paesi. ()
Basti pensare che dal 2015 in poi la crescita dei consumi pro capite delle famiglie in Italia è stata sempre superiore a quella di Germania e Francia. E lo stesso è accaduto per la crescita degli investimenti pro capite in macchinari e mezzi di trasporto. Dal lato della produzione ciò si è riflesso per la prima volta nell'era dell'euro in un sorpasso del Pil «privato» italiano rispetto a Germania e Francia. Infatti, nel triennio 2015-17, considerato sia nel suo insieme sia nei suoi singoli anni, il valore aggiunto dell'economia italiana al netto del contributo della pubblica amministrazione, difesa, sanità, istruzione è cresciuto in termini reali di più degli analoghi Pil «privati» tedesco e francese.
Il presente e il futuro post Covid19. Dopo il lockdown il nostro Paese deve darsi un programma urgente di rilancio delle attività produttive, razionale, ordinato, sistematico, tenendo conto ovviamente delle esigenze di sicurezza dei lavoratori. Limitandoci qui all'industria in senso ampio (costruzioni comprese), tre sono, a nostro avviso le priorità che il governo italiano deve affrontare. Primo: assicurare innanzitutto l'operatività delle attività manifatturiere che hanno da evadere ordini esteri pregressi. ()
La seconda priorità che il governo italiano dovrebbe darsi senza indugio è un programma di rilancio su grande scala dell'edilizia privata, una risorsa dormiente che abbiamo a disposizione e che negli ultimi tempi già stava mostrando qualche positivo segnale di ripresa, la cui ripartenza, tra l'altro, potrebbe ricadere positivamente a pioggia con un effetto moltiplicatore anche su tanti settori manifatturieri vitali dell'industria italiana. ()
Allo stesso modo, e perfino di più, è cruciale rilanciare gli investimenti in opere pubbliche, nelle infrastrutture stradali, ferroviarie, ospedaliere, nei porti, negli aeroporti, nelle reti telematiche, in ricerca, ecc. Secondo varie stime, vi sono decine di miliardi di investimenti in opere pubbliche fermi che potrebbero essere attivati e che potrebbero agire con un importante effetto positivo sul Pil.
Come hanno dimostrato anche recenti analisi della Banca d'Italia, se realizzate in modo efficiente le opere pubbliche non generano una crescita del rapporto debito/Pil perché il denominatore può aumentare più del numeratore. Non è più tempo dei no (locali, populisti, ideologici) che già erano antistorici e contro l'interesse del Paese prima della pandemia.
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