«Eh, Fiumefreddo... Farebbe bene a guardare in casa sua, a spiegare come lavorano i suoi dipendenti. Cartelle senza capo né coda, notificate fuori termine, piene di nullità»: così, da Catania, un grande tributarista racconta la vita quotidiana di quel mondo a parte che è il fisco siciliano, branca grotteschissima di quella cosa grottesca che è l'autonomia della regione pirandelliana. Antonio Fiumefreddo è il grand commis messo a capo di Riscossione Sicilia, il carrozzone che dovrebbe occuparsi di incassare le tasse non pagate: e che, come lui stesso ha raccontato mercoledì in Parlamento, non riscuote quasi nulla, recuperando nel 2015 appena l'otto per cento dei tributi non pagati, nonostante sia forte di una legione di 886 avvocati. In Sicilia pagare le tasse è un optional affidato al senso civico dei contribuenti.
Come questo sia possibile è un mistero che si perde nelle mille mani in cui il business è passato, da Cosa Nostra fino al Monte dei Paschi, senza che mai cambiasse nulla. Di certo, Riscossione Sicilia, sembra fatto apposta per proseguire nella tradizione di tolleranza verso evasori grandi e piccoli. Non a caso prima di Fiumefreddo il governatore Crocetta voleva mettere a capo del carrozzone Antonio Ingroia, che di cartelle esattoriali non si era mai occupato in vita sua. E persino il sito web di Riscossione Sicilia è tutta una rivendicazione di inefficienza, tra link che non portano da nessuna parte e recapiti di uffici aperti due giorni alla settimana.
Cinquantacinque miliardi di tasse perdute in dieci anni: sarebbero bastati per costruire sette volte il ponte sullo Stretto di Messina. Qualche concausa si potrà anche cercare nella crisi dell'economia locale. Ma è difficile non collocare i dati forniti da Fiumefreddo nella atavica vocazione siciliana a non pagare le tasse: il 41 per cento dei siciliani non presenta neanche la dichiarazione dei redditi, e chi la presenta tendenzialmente bara, l'analisi dei consumi dice che i contribuenti siciliani spendono 145 euro ogni 100 che ne dichiarano al fisco. Questo rende inevitabile che la Sicilia sia la Regione che più di ogni altra vive a spese del resto del Paese: il suo residuo fiscale, cioè la differenza tra tasse versate dai cittadini e fondi statali incassati era nel 2012 di 16 miliardi di euro, tutti soldi provenienti dal nord.
L'intero sistema tributario siciliano sembra fatto apposta per perdercisi dentro. Come tutte le regioni autonome, la Sicilia trattiene direttamente tutte le tasse, comprese Irpef e Iva; sulla regolarità delle dichiarazioni dei redditi vigila però Roma, attraverso gli uffici sull'isola della Agenzia delle Entrate, che il loro lavoro lo fanno bene. Ma le cartelle poi vengono affidate per essere incassate a Riscossione Sicilia: unica regione autonoma a non affidarsi a Equitalia, neanche il Trentino (che ha una struttura di efficienza mostruosa come Trentino Riscossioni, 85 per cento di multe stradali incassate) recupera in proprio le cartelle erariali. Pervenute a Riscossione Sicilia le cartelle si perdono nell'iperspazio. Sulle cause del disastro Fiumefreddo è esplicito, «incontriamo presidi mafiosi in cui non si entra né si notifica», ma poi si scopre che a non pagare le cartelle sono tutti, brava gente e colletti bianchi compresi, e persino il governatore Crocetta: come se non pagare le tasse facesse ormai parte della cultura locale come il pani ca meusa.
Il guaio è che il sistema va bene a tutti quanti, compresi gli enti
locali, a partire dai Comuni che con i crediti per tasse che non incasseranno mai abbelliscono i bilanci: «E se togliessero quei crediti - dice il nostro avvocato - i loro bilanci sarebbero ancora più falsi di quanto già sono».
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