Ben venga la diplomazia, dicono tutti. Ma la de-escalation annunciata da Mosca ancora non si è vista, denunciano Stati Uniti e alleati Nato. E senza il ritiro delle truppe russe dai confini con l'Ucraina, lo scenario di guerra resta concreto, anche se si sono aperti spiragli per un'intesa con la Russia. È questo il senso dell'ennesima giornata in bilico tra la pace e una nuova guerra mondiale. Con l'America che intravede un rischio altrettanto pericoloso. L'Ucraina può diventare un caso di scuola, un esempio per la Cina e le sue pretese su Taiwan e dunque un banco di prova che Biden deve superare.
Quella di ieri è stata un'altra giornata frenetica per la diplomazia, oltre che simbolica. Il 16 febbraio era la data considerata dall'intelligence americana il giorno probabile dell'invasione russa. L'aggressione non c'è stata, ma potrebbe ancora avvenire in qualsiasi momento, secondo Stati Uniti e Nato, anche se le aperture di Russia e Usa al dialogo fanno sperare in un'intesa. Le dense ventiquattrore si sono concluse con la telefonata Biden-Scholz, dopo che il cancelliere tedesco ha incontrato Putin a Mosca il giorno prima, e con la cena all'Eliseo di Mario Draghi e hanno visto insinuarsi sulla scena anche Xi Jinping. In un colloquio telefonico con il leader francese Macron, il presidente cinese ha sollecitato le parti al «dialogo» perché si trovi «una soluzione politica».
Nel pomeriggio di Bruxelles è stata la volta della riunione dei ministri della Difesa della Nato, con il segretario generale Stoltenberg che ha usato parole inequivocabili, nonostante gli annunci di ritiro di Mosca: «La Nato è pronta a dialogare con la Russia, ma è anche preparata al peggio. Non c'è stato alcun ritiro delle truppe e non ci sono risposte alle nostre richieste». Al massimo si assiste «a una rotazione delle truppe», spiega il leader ucraino Zelensky. Peggio, dicono Stoltenberg e il Dipartimento di Stato Usa: «L'escalation sta progredendo e continuando». Una strategia della forza - dice Stoltenberg - che «è la nuova normalità in Europa». Per questo l'Alleanza che sta valutando un rafforzamento «di lungo termine» del fianco Est e l'Italia, rappresentata dal ministro Lorenzo Guerini, che si è detta «pronta a fare la sua parte» sull'invio di truppe per la deterrenza.
Gli annunci di Mosca sembrano agli Alleati più buoni propositi che scenari reali, anche se dalla Russia proclamano la fine delle esercitazioni in Crimea e mostrano le immagini dei carri armati caricati sui treni. E alle preoccupazioni di un conflitto sul campo si aggiungono quelle di una guerra ibrida, azioni asimettriche come attacchi informatici ai sistemi delle agenzie federali americane, un rischio definito «molto alto» dal Dipartimento di Stato Usa, dopo che di nuovo ieri altri 15, tra banche e siti della Difesa ucraina, sono finiti nel mirino degli hacker. Temi di cui oggi il segretario di Stato americano, Antony Blinken, discuterà a Monaco durante la Conferenza sulla Sicurezza.
Il Cremlino ironizza ancora su un'invasione e a Biden, che ha parlato di attacco «ancora possibile», il portavoce Dmitriy Peskov decide di non rispondere. Come dovrebbe? «Con un appello agli Stati Uniti a non invadere il Canada? Non è previsto», spiega ridendo dell'ipotesi.
Eppure gli spiragli di una possibile intesa si intravedono. Non solo perché Biden si è detto «pronto a negoziare accordi scritti con Mosca» e la Russia ha definito ieri «positivo» che Washington sia «disponibile a svolgere negoziati seri». Putin ieri si è espresso su una questione cruciale.
Alla Duma, la camera bassa del Parlamento russo, che gli ha chiesto di riconoscere le autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, nel sud-est ucraino, ha risposto che l'iniziativa «non rispetterebbe gli accordi di Minsk». Usa e alleati avevano minacciato una «ferma e rapida risposta» in caso di riconoscimento da Mosca. Il tema potrebbe essere parte della trattativa, dopo lo stop all'ingresso dell'Ucraina nella Nato chiesto da Putin.
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