Coronavirus

La rivolta dei ristoratori tra dubbi e minacce: "Noi non siamo sceriffi"

Attacchi web ai locali che spiegano le regole. Il sindacato Tni: informare, non controllare

La rivolta dei ristoratori tra dubbi e minacce: "Noi non siamo sceriffi"

Passaporto verde, semaforo rosso. Il Green pass che battezziamo oggi e che dividerà gli Italiani in buoni e cattivi, risolverà molti problemi ma altrettanti ne creerà. E non parliamo dei dilemmi etici che solleva, ma di mere questioni pratiche. Non sarà che lo strumento destinato a risollevare la nostra economia finirà per affossarla?

Il dubbio non è chiaramente espresso ma si legge tra le righe del bollettino mensile della Bce, secondo cui «sebbene la riapertura di ampi settori dell'economia stia sostenendo un forte recupero dei servizi, la variante Delta del Covid-19 potrebbe smorzare la ripresa di questi ultimi, soprattutto nel comparto del turismo e dell'ospitalità».

Sono proprio i settori più interessati dal Green pass: ristoranti al chiuso, musei, spettacoli, eventi sportivi. Prendiamo i ristoranti: i gestori non sono contrari in linea di principio alla misura, ma non ci stanno a trasformarsi in vigili, controllori della regolarità dei documenti esibiti dagli aspiranti clienti. Un'attività noiosa, faticosa e anche impopolare. Al punto che da tutta Italia e in particolare dalla Sardegna arrivano notizie di minacce web nei confronti dei ristoratori che hanno fatto partire campagne informative attraverso i loro canali social. Molti hanno ricevuto aggressioni da parte di hater No Vax, ma anche recensioni negative capziose sulle piattaforme come Tripadvisor. «Non possiamo accettarlo - dice Emanuele Frongia, presidente Fipe Confcommercio Sud Sardegna - noi possiamo solo applicare quanto la legge ci obbliga a fare e siamo involontariamente deputati a ricoprire un ruolo che non è nostro». Anche perché «è impossibile non rispettare le regole: rischiamo fino a mille euro di sanzioni e la chiusura dell'attività. Non possiamo permettercelo: il nostro lavoro è iniziato di nuovo solo pochi mesi fa dopo più di un anno di chiusure a macchia di leopardo».

C'è chi non si limita a protestare, ma è pronto a una sorta di obiezione: «Nei nostri locali - annuncia Cristina Tagliamento, segretaria nazionale di Tni, il sindacato che tutela imprenditori e dipendenti del mondo horeca - affiggeremo dei cartelli, attraverso i nostri canali social sensibilizzeremo e informeremo la popolazione perché sia in regola se chiede di consumare, con servizio al tavolo, all'interno del locale. Ma non andremo oltre, non vogliamo diventare sceriffi». C'è anche un problema di privacy e per questo il sindacato ha inviato un quesito formale al garante della privacy, come già fatto dall'assessore agli Affari legali della regione Piemonte. «Vogliamo sapere - spiega Tagliamento - se abbiamo ragione nell'affermare che non possiamo verificare i documenti dei clienti in quanto non abbiamo la funzione tipica dei pubblici ufficiali. C'è molta confusione, con pareri discordanti. Non sappiamo chi eleverà eventuali sanzioni, chi chiamare in caso di contestazioni e denunce da parte del cliente. In ogni caso siamo riusciti a costituire un team di avvocati, pronti ad assistere i nostri associati in caso di denunce o sanzioni». Avvocati secondo cui, come dicono Aldo Elia e Antonio Francesco Rizzuto, «il green pass viola il regolamento dell'Unione europea ed è discriminatorio contro la persona. Non si comprende perché solo Italia e Francia abbiano adottato questo sistema. Tuteleremo nelle sedi opportune chi verrà appunto discriminato».

Il pasticcio è servito, ora bisogna vedere a chi spetterà pagare il conto.

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