L a legge non c'è ancora, la stroncatura è già in rete. Non quella della minoranza del Pd che combatte con tutti i mezzi contro il Jobs Act e la riforma dell'articolo 18. No, c'è un'altra opposizione, dura e pura, quella delle toghe di Magistratura democratica, la corrente di sinistra dei giudici italiani. «Si presenta l'articolo 18 - si legge in un comunicato ufficiale fresco di stampa - come fattore di dissuasione per gli investitori stranieri e strumento di intromissione dei giudici nella vita delle aziende, dimenticando che ogni valutazione della magistratura è solo a tutela della legalità e che la necessità che il licenziamento abbia una giusta causa o un giustificato motivo è imposta dalle norme fondamentali del nostro Paese e dalla stessa carta europea».
Insomma, Renzi come Pinocchio racconta solo delle grandi bugie e americani, arabi e cinesi possono tranquillamente sbarcare in Italia e fare affari. Il dibattito è aperto: peccato che a parlare non siano Civati o i bersaniani ma direttamente le toghe chiamate poi ad applicare, se e quando verranno approvate, le nuove norme. Mettiamoci per un attimo nei panni dell'imprenditore straniero carico di dollari e desideroso di aprire uno stabilimento nella penisola. Come si sentirà dopo aver letto quelle bordate? Non penserà di avere a che fare con giudici sbilanciati, mettiamola così, dallo zaino della loro ideologia? Ecco il passaggio successivo: «Si progetta il futuro dei giovani sottraendo loro diritti e promettendo, secondo uno stile criticabile, tutele che verranno tra tre anni o forse mai. Un articolo 18 trasformato così in miraggio, al pari delle misure di protezione sociale sul cui finanziamento cala il silenzio».
La bocciatura, dunque, è totale come nemmeno le voci più oltranziste alla direzione del Pd l'altra sera. Del resto leggiamo da cinquant'anni saggi e documenti che fanno a pezzi i governi e le loro politiche conservatrici o peggio reazionarie. Ed è da cinquant'anni che le toghe rosse, semplificazione non semplicistica, fanno politica e non solo. Spesso, anche se oggi molto meno di un tempo, scrivono sentenze che allargano i diritti dei lavoratori, spostano i confini della giurisprudenza, interpretano creativamente le norme. Vale per l'ambiente. Vale per la morale, un tempo spregiativamente etichettata come borghese. Vale per il lavoro. Nell'eterna lotta fra industriali e dipendenti più di una volta le teste fini di Md si sono schierate in modo plateale dalla parte dei secondi. E hanno realizzato quel cortocircuito perfetto fra teoria e pratica. Fra lavoro e passione ideale. Intendiamoci, ogni opinione è legittima, ci mancherebbe, e tutte le riforme, comprese quelle del governo Renzi, vanno passate al microscopio alla ricerca di trucchi, trabocchetti e promesse non realizzate. Ma si resta perplessi, eufemismo, nel leggere la nota di Md che si chiude come un volantino di lotta: «Md non può che allarmarsi di fronte al tentativo di cancellare diritti e controlli di legalità, così togliendo alle future generazioni ogni speranza di vedere seriamente aggredite le disuguaglianze sociali». Sembra di stare ad un'assemblea della Cgil. E di ascoltare Susanna Camusso.
Nessuno vuole mettere in dubbio la correttezza e la buonafede di quei giudici ma forse l'anomalia italiana passa anche da questi documenti. Che il Paperone di turno di una multinazionale in espansione e il piccolo artigiano tricolore, il classico Brambilla, sovrapporranno fatalmente alle sentenze in uscita dai nostri tribunali. Aggiungendo inevitabilmente pregiudizio a pregiudizio, diffidenza a diffidenza, incertezza ad incertezza.
In più di un paese il reintegro c'è. E si va davanti al giudice per risolvere il braccio di ferro. Però i processi non durano anni e anni, in un groviglio di provvedimenti, ma mesi e le toghe non sono divise, come e più che in parlamento, fra quelle azzurre, rosse o nere. Da noi va in un altro modo. Da cinquant'anni Md costruisce la sua politica giudiziaria. E Livio Pepino, l'ex segretario nazionale della corrente, scrive un testo che spiega la lunga marcia dentro le istituzioni: «Che Magistratura democratica sia stata (sia) la sinistra della magistratura è noto e da sempre rivendicato.
Ad una magistratura longa manus del governo, si addice infatti, un modello di giudice burocratico e neutrale, mentre ad una magistratura radicata nella società più che nell'istituzione deve corrispondere un giudice consapevole della propria autonomia, attento alle dinamiche sociali e di esse partecipe». Dai congressi col pugno chiuso alla guerra al Jobs Act il passo è davvero breve.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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