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Rose in versione punk La rivoluzione McQueen

Colpo vincente di Lacoste che punta sul mitico logo Coccodrillo-borsa, portachiavi o ricamato sul pull

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Parigi «La cittadina in cui sono cresciuta, Macclesfield, nel Cheshire, era circondata dal verde e dalle ciminiere. Nelle fabbriche una sola macchina faceva il lavoro di tanti uomini, ma ci voleva sempre la mano e l'occhio di un uomo per guidarla. Poi hanno cominciato a chiudere anche le fabbriche e di tutta questa epopea resta ben poco».

Sarah Burton, direttore artistico di Alexander McQueen è un fiume in piena mentre racconta come ha costruito la grandiosa collezione del prossimo inverno: una delle cose più poetiche e commoventi di questa interminabile tornata di sfilate parigine. In pratica la signora ha portato il suo team nel Nord dell'Inghilterra, facendo una tappa nei musei di Manchester dove lei ha fatto l'università prima di raggiungere Londra, la città in cui ha conosciuto McQueen diventando l'amica e il braccio destro della sua genialità. Da questa marea di ricordi e suggestioni sono usciti capi indimenticabili come il cappotto pied de poule bianco e nero che in fondo sembra sfaldarsi fino a comporre la sagoma di una rosa. C'è un vestito fatto con gli aghi da telaio appesi come innumerevoli pailette metalliche su un'evanescente struttura di tulle. Un altro è ricoperto da non si sa bene quanti orecchini vittoriani. I pezzi più belli e desiderabili sono i primi tailleur fatti con le migliori stoffe inglesi lasciate libere in un magistrale panneggio sul fianco per far vedere la cimosa. Poi c'è la pelle trattata con rara maestria e quel certo non so che di punk che nelle mani di un'inglese ha sempre un suo profondo perchè. Perfino il set della sfilata rimanda a questa storia bellissima con le sedute sostituite da grossi rotoli per tessuti industriali e quelle orrende luci al neon che ti permettono però di vedere eventuali fallature anche a occhio nudo. L'ultima uscita è un abito-capolavoro che riproduce la forma delle rose nella gonna e sulle maniche grazie a non si sa bene quale artificio sartoriale. Tanto di cappello, quindi, a questa «english rose» che ha modestia e talento da vendere contrariamente a chi ha bisogno di ricostruire il Beaubourg dentro al Louvre per far parlare di una collezione Vuitton così nostalgica e letterale nel suo guardare alla fine degli anni Settanta e ai primissimi anni Ottanta da farci pensare addirittura a Krizia.

Quelle collarette esagerate sulle spalle superpompate sotto ai capelli gonfi di frisè, ricordano inoltre l'amica segretaria di Melanie Griffith nel suo primo delizioso film: «Una donna in carriera». Insomma, se questa è l'atmosfera estetica che si respirava quando il Beauburg è stato inaugurato nel 1977, molto meglio oggi con la gente in tuta da ginnastica dal mattino alla sera. Infatti, una delle migliori sfilate parigine è a sorpresa quella di Lacoste, marchio inevitabilmente legato allo sport e ora disegnato da Louise Trotter, un'inglese che ha, al suo attivo, prestigiose collaborazioni con Calvin Klein e Tommy Hilfiger prima di approdare da Joseph a Londra. È il primo direttore creativo donna del brand del coccodrillo in 85 anni di storia e vince subito la partita con un «servizio» impeccabile fatto di lunghi pastrani e completi giacca e pantalone all over cammello. Perfino il mitico logo viene riprodotto ton sur ton, ma poi cominciano i colori e i colpi «sotto rete» intesi come il coccodrillo ricamato in lana con i fili colorati che pendono sul pull, la clutch a forma di cocco e le collane portachiavi.

Insomma, gran bel lavoro degno di quello che Miuccia Prada fa per Miu Miu sulle mantelle trasformando tutti i classici capi da outdoor (l'eskimo, il montone, il Barbour e la giacca mimetica) in ampie e bellissime cappe sopra alle tenere vestine di chiffon, ma anche sul completo in lana camouflage. Inevitabile pensare a Cappuccetto Rosso, ma il colore manca all'appello (in compenso c'è lo scozzese Black Watch e il cashmere blu) e poi una nota della maison dice che la collezione è ispirata dalla necessità di proteggersi dalla dilagante violenza e che la presenza in effetti molto forte del motivo mimetico è un invito alla ribellione. Insomma, sarebbe da dire Cappuccetto Green ma su questo nessuno ha fatto un lavoro speciale come Stella McCartney. I suoi cappotti sono tra i più belli di tutte le fashion week e vengono fatti con stoffe riciclate oppure con l'eco pelle che meno disturba l'ecosistema. Il tutto con un senso davvero profondo dello stile. È quello che manca a Givenchy dove c'è tutto e il suo contrario: un minestrone. A Roma si direbbe «Mo Basta», ma la stilista Clare Waight-Keller è tanto carina..

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