Non vogliamo fare la fine dei Maya. «Ogni ragazza siede sulla sua fortuna e non lo sa», disse la zia Ketty alla nipote Nell Kimball: questa frase è da considerare, coi tempi che corrono, abominevole e perseguibile d'ufficio, ma la piccola Nell scrisse poi le straordinarie Memorie di una mâitresse americana, un classico Adelphi sui tesori ignorati.
L'Italia intera è seduta sul giacimento della sua fortuna e non lo sa, trattandosi del noto a chiacchiere patrimonio artistico e scientifico in tutte le forme conosciute più alte, dalla pittura alla fisica nucleare. Ma l'Italia non ha la più pallida idea di quanto una rivoluzione della cultura e non soltanto delle colonne cadute e degli orari dei musei potrebbe restituire in ricchezza, posti di lavoro, ulteriore cultura, tenore di vita. Per liberare e far fruttare una tale ricchezza occorre un governo come quello che potrebbe nascere mandando a casa gli spocchiosi e inconcludenti piddini delle banche e delle bancarotte, respingendo le orde barbariche grillesche che vogliono far fare a noi italiani la fine dei Maya, auto-estinti per eccesso di sacrifici umani. Il giacimento è pronto da tempo: richiede solo tecnologia, invenzione, meritocrazia, cinema, elettronica, strade, visioni, mondi virtuali.
Il giacimento di Roma in particolare è una necropoli a cielo aperto abitata dai suoi fantasmi. Una tale rivoluzione non è roba per la sinistra conservatrice, ma per inventori e investitori di grandi start-up che agiscano liberi in un clima di follia liberale.
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