Camilla Conti
La gestione del caso Etruria e l'attacco a Bankitalia di questi mesi, riacutizzato giovedì in Commissione banche, segue un copione ben rodato da Matteo Renzi: trovare capri espiatori, spostare l'attenzione sfruttando la caciara mediatica. Ma la polvere alzata ad arte non può nascondere tutto. E nelle cause del dissesto dell'ex popolare dell'Etruria ci sono ingerenze da parte del Pd, soprattutto del clan del giglio magico, che riaffiorano sempre.
Quali sono le falle della difesa renziana basta sulla tesi del «è tutta colpa di Visco»? Causa ed effetto di questa strategia sono le relazioni pericolose della famiglia Boschi. Quelle descritte dall'ex direttore del Corriere, Ferruccio de Bortoli, nella sua autobiografia: la moral suasion di Maria Elena Boschi presso l'ex ad di Unicredit, Federico Ghizzoni, affinché trovasse un partner per l'allora periclitante banca di cui il padre era vicepresidente. Altra ombra: il 3 febbraio 2015, una settimana prima del commissariamento di Etruria, Boschi senior viene intercettato al telefono con il direttore generale di Veneto Banca, Vincenzo Consoli. Boschi dice: «Domani in serata se ne parla, io ne parlo con mia figlia, col presidente domani e ci si sente in serata». Legato all'Etruria è il figlio Emanuele, ovvero il fratello di Maria Elena. Ex responsabile dell'analisi dei processi di costo di Etruria dove era entrato nel 2007 (quando ancora il padre non sedeva nel cda), lascia la popolare aretina a marzo 2015, (appena sette mesi prima del dissesto) e si appoggia per alcune settimane allo studio fiorentino di Luciano Nataloni, commercialista ed ex membro del cda della stessa Etruria. Nataloni è stato indagato per conflitto d'interessi dalla procura di Arezzo per i finanziamenti erogati dalla banca a 14 società vicine a lui e all'ex presidente Lorenzo Rosi, che avrebbero causato 30 milioni di euro di buco. Nel giugno 2015 Emanuele Boschi si trasferisce a pochi passi, al civico 9 della stessa via, chiamato da Francesco Bonifazi (avvocato, parlamentare e tesoriere del Pd nonché ex fidanzato di Maria Elena) per ricoprire la carica di presidente del cda della Mantellate Nove Srl, che offre servizi aziendali rivolti a studi legali e contabili.
Lo zampino maldestro del Pd si ritrova anche nella gestione della riforma delle Popolari. A dispetto del grido di guerra di Renzi («Non abbiamo avuto paura di intervenire sul numero di parlamentari, non avremo paura di farlo sul numero dei banchieri»), se si vuol cercare lo sponsor della riforma varata dal governo nel 2015 bisogna guardare a Mario Draghi. Il presidente della Bce era stato chiaro già nel 2006, quando era al timone di Bankitalia, puntando il dito sull'«autoreferenzialità del management e insufficiente tutela degli azionisti» per le banche dove vigeva il voto capitario.
Lo stesso Visco, dall'inizio del suo primo mandato, nel 2011, aveva cominciato inutilmente a bussare alle porte dei presidenti del Consiglio per convincerli a trovare una soluzione al problema delle popolari. L'input arriva dunque da via Nazionale ma le ombre che accompagneranno la riforma sono renziane. Il 20 gennaio del 2015, l'allora responsabile dell'ufficio studi di Royal Bank of Scotland poi entrato qualche anno fa nella squadra del fondo Algebris di Davide Serra, organizza al Renaissance Hotel di Londra un convegno a porte chiuse fra investitori della City al quale partecipa anche Carlotta de Franceschi, al tempo consulente economico del governo Renzi. Che lo stesso giorno approva il decreto Popolari, anticipato da movimenti anomali in Borsa dei titoli coinvolti su cui accende i riflettori Consob. Serra precisa che Algebris non ha mai effettuato investimenti nella Popolare dell'Etruria. Qualche mese dopo però sui quotidiani finanziari salta fuori tra i fondi che si sono affacciati per acquisire i crediti deteriorati dell'Etruria commissariata l'11 febbraio 2015, c'è anche Algebris Npl Fund 1.
Secondo un articolo apparso sul Messaggero a marzo di quell'anno, Serra sarebbe tornato alla carica il 19 febbraio con una lettera indirizzata ai due commissari, e per conoscenza a Via Nazionale, formulando «una proposta di cooperazione, risanamento e rilancio» recuperando partner per ricapitalizzare la banca aretina. Ma la Vigilanza e il Tesoro seguono un'altra strada che porterà all'acquisto da parte di Ubi di Etruria, Chieti e Banca Marche. Lontano dalle grandi manovre della corte vicina all'ex premier.
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