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"Niente nuovo Ulivo". Tra i dem arriva lo stop a Letta

Il deputato dem Enrico Borghi prende in parte le distanze dal modello scelto dal segretario. E sulle misure osserva: "Riformare il Reddito di cittadinanza"

"Niente nuovo Ulivo". Tra i dem arriva lo stop a Letta

Avanti con il confronto sul ddl Zan, riforma del Reddito di cittadinanza e un dialogo non esclusivo con i Cinque Stelle, perché Conte è solo "uno degli interlocutori". Il deputato del Partito democratico, Enrico Borghi, esponente di spicco di Base riformista, sposa la linea di Enrico Letta sulle alleanze, evocando un “modello tedesco”. Ma ne prende le distanze sul modello di coalizione: “Non parlerei di nuovo Ulivo”.

Sul ddl Zan, dopo mesi di muro contro muro, si cerca il dialogo. Non sarebbe stato opportuno farlo già in estate?
“Sono stati rispettati i tempi del calendario del Senato. È stata una fase importante per capire quali fossero le reali forze in campo e come fosse opportuno muoversi. Per noi non è bandiera ideologica, ma un obiettivo da perseguire. Dobbiamo evitare l’affossamento del provvedimento”.

Ritiene quindi possibile l’intesa?
“Alla Camera saremmo pronti a votare il testo approvato dal Senato, senza modificare alcunché. Il tema che ha posto il segretario Letta è quello di modifiche non strutturali per andare incontro a un consenso più largo”.

A proposito di Letta, ieri ha incontrato Conte. Il Movimento 5 Stelle rappresenta sempre il principale interlocutore del Pd?
“Il Movimento 5 Stelle è uno degli interlocutori nella prospettiva di un campo largo e di forze, in grado di costruire un’alternativa alla destra. L’incontro di ieri va in quella direzione ed è importante. Credo che ci saranno incontri con altri leader”.

Come si può realizzare la mission impossible, copyright Letta, di mettere insieme Conte e Calenda?
“Quando c’è la politica in campo, i 'mai' diventano 'poi', come ha dimostrato la lunga casistica di questi tre anni. Tanti “mai” si sono trasformati in “poi”. Dobbiamo costruire una coalizione che sappia emulare l’imprinting europeista che c’è nei principali Paesi europei, presentandoci come alternativa a una destra che vedrà consumarsi un sordo scontro tra Salvini e Meloni”.

E quale compromesso si può trovare tra chi difende a spada tratta il reddito di cittadinanza, come il M5S, e chi ne vuole l’abolizione, per esempio Italia viva di Matteo Renzi?
“Serve un passo in avanti sulle questioni di merito ed evitando di trasformare le misure in Moloch ideologici insormontabili. È evidente che occorre riformare il Reddito di cittadinanza, immaginando che debba esserci una politica di sostegno a favore dei ceti meno abbienti. Ma il reddito di cittadinanza non ha funzionato nel passaggio dal sostegno al reddito all’inclusione nel mondo del lavoro. Il riformismo deve superare i veti incrociati.

Il nuovo Ulivo di Letta corre il rischio di diventare una riproposizione dell’Unione del 2006. A un certo punto non ci sarà bisogno di scegliere con chi stare per non mettere insieme forze troppo diverse?
“Io non userei il termine nuovo Ulivo. Quella è stata un’esperienza in cui alcune forze riformiste si sono incrociate, avendo come obiettivo quello della convergenza per far nascere addirittura un nuovo partito. Ora parliamo di una coalizione tra forze politiche che sono e restano distinte tra di loro. Per evitare il rischio Unione diventa fondamentale avere un progetto politico. Bisogna mutuare le esperienze riformiste in Europa, come sta avvenendo in Germania.

Quindi un modello tedesco per il centrosinistra?
“In Germania si sta realizzando un’alleanza significativa tra socialdemocratici, liberali e verdi, mettendo al centro i contenuti. È un esempio da guardare con estrema attenzione. Peraltro, la logica delle alleanze è stata la caratteristica dei migliori anni della Repubblica. In una coalizione c’è il rispetto delle singole peculiarità, così è possibile stare insieme”.

Intanto sta iniziando la sessione di bilancio, il governo rischia il logoramento delle tensioni tra partiti così lontani tra di loro?
“Prima di tutto c’è il cosiddetto metodo Draghi. Il premier scioglie i nodi gordiani in base alle decisioni che ritiene di dover assumere. E poi ci troviamo ancora in una condizione di assoluta eccezionalità, come il semestre bianco, per cui tutti sanno di poter tirare la corda, senza poterla spezzare. La Legge di Bilancio è peraltro uno dei provvedimenti più importanti del governo Draghi”.

Altro tema di scontro è la riforma delle pensioni. Quale soluzione può essere individuata per trovare anche il gradimento del Pd?
“Anche qui bisogna evitare trasformare le quote in Moloch ideologici. Non servono bandiera da sventolare. Guardiamo al consuntivo di Quota 100: non c’è stata l’annunciata sostituzione nel mercato del lavoro, tra anziani in uscita e giovani in entrata. Inoltre, è stata una misura che ha fortemente penalizzato le donne: l’80 per cento di lavoratori che hanno scelto di attivarla erano uomini. Bisogna segmentare e tenere conto delle diversità professionali e di genere. Per questo insistiamo sul mantenimento di Opzione Donna. È fondamentale poi riprendere il discorso sulle categorie usuranti dei lavoratori. Non ha senso di tenere in un’unica quota impieghi molto diversi tra loro”.

Ma i sindacati, interlocutori naturali del Pd, sono già sul piede di guerra e paventano uno sciopero…
“Il tema delle pensioni non va considerato come un blocco unico. In Italia sono venti anni che la logica delle quote fa scattare gli scaloni e i meccanismi di ‘chi dentro e chi fuori’. È proprio quello che vogliamo evitare: serve giustizia sociale e sostenibilità economica.

Su queste basi faremo un confronto con i sindacati”.

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