Sì alla comunione per i divorziati

L'apertura passa per un solo voto: si valuterà caso per caso. No alle nozze gay: «Contrarie al disegno di Dio»

Un solo voto di scarto (178 sì rispetto ai 177 richiesti per la maggioranza qualificata dei due terzi) e il Sinodo sulla famiglia, che si è chiuso ieri con l'approvazione e la votazione della Relazione finale, apre alla possibilità di concedere la comunione ai divorziati risposati. Ma non è un sì senza condizioni. Si deciderà «caso per caso», secondo un «discernimento delle situazioni», come diceva già Giovanni Paolo II. È «compito dei presbiteri - si legge nel testo finale dell'assise - accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l'insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo».

Il tema, quello della concessione dell'ostia a chi è divorziato e poi riaccompagnato, ha visto il Sinodo spaccato per tre settimane: quanti, più fedeli al principio dell'indissolubilità del matrimonio, ritengono chiudere la porta a tale possibilità e quanti invece, sposando il principio della misericordia, aprono all'eventualità. La terza via, quella «caso per caso», ha prevalso.

«C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente - si legge nella Relazione finale approvata dalla maggioranza in tutti i suoi paragrafi - e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido».

È la linea sostenuta fin dallo scorso anno dal cardinale Walter Kasper, capofila dei progressisti. Spetta poi ai presbiteri «accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l'insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo».A concludere l'assise in Vaticano è stato lo stesso Papa. «La Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori». Il sinodo «ci ha fatto capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito, non le idee ma l'uomo, non le formule, ma la gratuità dell'amore di Dio e del suo perdono», ha aggiunto il Pontefice, invitando a superare le «tentazioni» del fratello maggiore e degli operai gelosi.

Il pontefice argentino ha poi «bacchettato» quanti, pur esprimendo «opinioni diverse, si sono espressi liberamente, purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli». Ma le opinioni diverse «hanno certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo un'immagine viva di una Chiesa che non usa moduli preconfezionati ma che attinge dalla fonte inesauribile della sua fede».

Resta invece il no alle unioni omosessuali. «La Chiesa - si legge al numero 76 della relazione finale - ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare “ogni marchio di ingiusta discriminazione"». Tuttavia, «circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia"». L'ultima parola spetta ora al Papa che deciderà, come richiesto dal Sinodo, se redigere un documento sulla famiglia.

Al termine dei lavori Bergoglio ha pronunciato un discorso molto chiaro e netto affermando che «il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre gli uomini alla salvezza del Signore».

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