Sala si candida al dopo Renzi al raduno dei delusi del Pd

Il sindaco di Milano in campo: «Creiamo l'alternativa» E a Roma Zingaretti organizza la «convention del fare»

Sala si candida al dopo Renzi al raduno dei delusi del Pd

Non sa se definirli saggi ma Beppe Sala chiama a raccolta «un gruppo di dieci personalità di esperienza» - sindaci, presidenti di Regione, vertici nazionali - per «creare un'alternativa a Matteo Renzi». Il sindaco di Milano scende in campo per spezzare il monopolio renziano. Ribadisce che non intende prendere la tessera del Pd e non vuole «candidarsi a nulla», potere alle idee e non alle segreterie è il mantra, ma si mette tra i dieci dovrebbero lanciare una «proposta radicalmente diversa da quella che ci ha portati al 18%».

Sala interviene al raduno dei delusi del Pd promosso subito dopo il risultato del 4 marzo dal suo assessore (ex sfidante alle primarie nel 2016) Pierfrancesco Majorino, esponente della sinistra dem. Il palco di Radio Popolare è uno sfogatoio, tre minuti a testa per sparare a zero sul partito, Sala può intervenire senza cronometro e affonda l'ex premier. Tutti dicono che non c'è l'alternativa al segretario dimissionario? «Allora proponiamo un'alternativa di gruppo, con persone del Pd o comunque di sinistra, me compreso, che vogliono essere parte di una fase costituente, senza chiedere nulla». Sala ha «accennato» al reggente Maurizio Martina della sua «idea di chiamare a raccolta un gruppo di persone intorno a lui».

Il modello da cui ripartire deve essere chiaramente Milano («dobbiamo levarci un po' la modestia che abbiamo addosso» ripete più volte nel suo intervento) dove dal 2011 dem e sinistra radicale governano insieme senza scossoni, «un modello di inclusione e innovazione». Nessuno, insiste, «può ignorare la forza di Renzi nel Pd, ma neanche che c'è Renzi da una parte e quasi tutti gli altri dall'altra parte. Si è dimesso ma ha continuato a dare le carte, basta guardare com'è composta oggi la compagine di deputati e senatori, ovviamente sono più a stampo renziano. Era nei suoi diritti costruire le liste in questo modo? Secondo lo statuto forse sì ma non funziona così, soprattutto se vogliamo risorgere dalla situazione in cui siamo caduti». Non preoccupiamoci insiste «di avere un capo, un candidato. Io sono contrario ai totem, piacciono agli scout». Il pubblico che applaude ha colto il riferimento a Renzi. Ribadisce che il Pd «doveva provare a fare un governo con i 5 Stelle» e «se si tornasse a votare faremmo una bruttissima figura».

Da Milano a Roma, sembra (quasi) lo stesso film. All'ex Dogana il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha promosso ieri la convention-manifesto «Alleanza del fare. Governare bene, radicare il cambiamento». Si rincorrono le voci di una sua candidatura alla segreteria nazionale post Renzi. «Questa assemblea non è legata alla voglia di qualcuno di candidarsi, non sarà usata come trampolino di lancio. Quando qualcuno si candiderà, se ne accorgeranno tutti» premette. E anche Zingaretti lancia il modello Lazio per il Paese, Il Pd alle Regionali è andato al voto compatto con Leu a differenza della Lombardia («potevamo dividerci e non l'abbiamo fatto»).

In vista delle amministrative del 10 giugno e forse di un ritorno alle urne per il governo chiede al centrosinistra di «aprire un cantiere per una nuova alleanza fatta soprattutto di persone. Non riproponiamo schemi del passato superato. Non chiudiamoci nel palazzo, il potere non deve servire a chi lo gestisce ma va messo al servizio della comunità».

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