B rusco risveglio, e repentino «commissariamento» della linea sulla Libia. L'ultimo dei torpori che affliggono il governo, la colpevole inerzia che evoca incapacità più che controllo della situazione, ha provocato una gestione della crisi libica tutta accentrata ora su Palazzo Chigi, con il premier Giuseppe Conte in qualità di coordinatore della war room messa su due giorni fa. Reazione sollecitata da fattori contingenti, primo tra i quali l'attivismo del ministro dell'Interno, Matteo Salvini, lesto a incunearsi in questo deprimente vuoto di idee, oltre che di politica. Ma che pure, in questa fase di concomitante campagna elettorale, viene «marcato a uomo», e praticamente accerchiato, dai grillini (di lotta) e di governo. Prova ne siano tanti piccoli e grandi segnali, come il post del collega vicepremier Di Maio sulla morte del carabiniere ucciso ieri a Cagnano Varano (Foggia) che quasi sottintende un'inerzia del ministro dell'Interno e si conclude con un ultimativo: «Ora basta, ci sarà una reazione».
Come se non bastasse la polemica sempiterna di Salvini con la sindaca Raggi, ieri rinnovata sull'inefficienza e i debiti di una Capitale che non può pensare di essere «più uguale» delle altre città. L'irrispettosa risposta della Raggi («Fa piacere che sia passato dal chiedere vagoni della metro senza terroni a riconoscere che si guarda al futuro, il ragazzo sta crescendo. Salvini si occupi della sicurezza invece di parlare di Roma, mi sembra, visti i fatti di cronaca, che il lavoro da fare non gli manchi») e la controreplica salviniana («Invitai a votare Raggi ma come utente della città ogni giorno mi confronto con il degrado») denotano tutto il nervosismo e le ripicche di un'alleanza arrivata al capolinea. Accentuate, nel capo leghista, anche dagli attacchi subiti dall'esterno della maggioranza, come s'è visto ieri quando l'«alleata» Giorgia Meloni ha rimarcato la differenza tra «populismo leghista» e «sovranismo» (incarnato da Fdi).
Eppure è chiaro come le uscite salviniane di qualche giorno fa sulla Francia non fossero sicuramente appropriate e «distensive», in una situazione così intricata come quella di Tripoli. «Qualcuno sta giocando alla guerra per i suoi interessi economici», aveva detto il titolare del Viminale, dando anche credito ai sospetti che Parigi fosse stata informata dai generali di Haftar dell'attacco del 4 aprile (ieri il governo francese ha smentito). Il cambio di rotta del governo ha portato il premier Conte a dover rassicurare personalmente Angela Merkel, oltre che Parigi e Washington, in attesa del colloquio telefonico con Trump, previsto per domani. «Nessuna iniziativa solitaria di alcuna istituzione», era stata la raccomandazione di Conte al comitato permanente di crisi. Che, come ha ribadito ieri, «continuerà costantemente a riunirsi, perché c'è un concreto rischio di crisi umanitaria che vogliamo scongiurare» ma che, qualora ci fosse, «saremmo in grado di affrontare».
Salvini non ha gradito questo arrocco che punta a metterlo ai margini e si racconta di un leader della Lega piuttosto furioso per lo sgarbo dei suoi alleati e pronto a reagire con una controffensiva su Washington e Mosca.
In questo continuo gioco di specchi deformanti che è diventata la maggioranza gialloverde, la risposta di Palazzo Chigi sollecitata in qualche modo dal Quirinale è stata di riprendere con fermezza il timone, prima che la barca desse ulteriori segni di sbandamento. Eppure il ruolo del nostro Paese in Libia, nelle parole del premier, è ormai scaduto a quello di «Paese facilitatore», per il processo di stabilizzazione e pacificazione. Paratosi dietro lo scudo delle iniziative Onu, Conte auspica che «tutti gli attori stranieri lavorino insieme». Con ciò, in qualche modo ammettendo i sospetti sul fatto che qualcuno (o più d'uno) giochi per conto proprio.
Ma se è noto come il frasario istituzionale di Conte finisca sempre per rispecchiare un'evanescenza, ben diverse erano state le posizioni rimarcate dalla ministra Elisabetta Trenta, titolare della Difesa, che in un'intervista al Corsera aveva chiaramente fatto riferimento a Salvini, sottolineando come «non servono prove di forza, non serve fare i duri come vedo fare a qualcuno per avere qualche titolo sui giornali. Serve intelligenza, compostezza, dialogo. E serve avere testa, non la testa dura».
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