Salvini vede Conte: "Crisi da evitare". Pressing di Meloni per fare il nome del centrodestra

Il leghista e l’ex premier d’accordo: meglio se Draghi resta dov’è adesso. Il nodo da sciogliere è se la coalizione si presenterà compatta al voto del 2023.

Salvini vede Conte: "Crisi da evitare". Pressing di Meloni per fare il nome  del centrodestra

I tempi del Papeete sono lontani. È un'altra vita. Le accuse, le delusioni, i tradimenti, gli indici puntati l'uno contro l'altro sono cose che passano. È la caducità della politica, che ormai vive solo di presente. Non saranno mai amici, ma adesso vedono lo spiraglio di qualche interesse in comune. È con questo spirito che Matteo Salvini e Giuseppe Conte si sono incontrati. Le cronache ufficiali raccontano di un colloquio «cordiale», utile a questo punto per interpretare un ruolo nella partita del Quirinale. I due si incrociano in un punto: non hanno tanta voglia di far traslocare Mario Draghi da Palazzo Chigi. È così che si danno la mano sulla strada del piano C, la terza alternativa. «È il Pd che ci vuole portare su Draghi», racconta un parlamentare della Lega. Se Berlusconi fa un passo indietro, liberando Salvini dalla sue promesse, e Draghi viene bocciato dai Cinque stelle, si torna a ragionare su una candidatura condivisa. È il cuore del loro discorso. La possibilità che porti da qualche parte non sono molte. Il leader della Lega ci tiene a far sapere che il centrodestra sul voto sarà compatto. Conte fa finta di credergli e mette sul piatto la necessità di trovare una figura autorevole che piaccia a tutti. Nessuno al momento sa dove cercarla. Tutti e due sono d'accordo sulla «necessità di scongiurare una crisi di governo». Draghi è meglio che resti dov'è.

L'impressione è che in questa storia nessuno ancora abbia il pallino in mano. Si parla al buio e con un orizzonte incerto. Il centrodestra si sta confrontando con una prova difficile, che potrebbe segnare il proprio futuro. Questo al di là delle parole rassicuranti di tutti i leader della coalizione. La fiducia reciproca, sotto i sorrisi, non appare certo alta. Salvini e Meloni vorrebbero chiarire le ambizioni di Berlusconi il più presto possibile. Si narra di una certa impazienza per un vertice che ancora non arriva. Giorgia Meloni lo dice in chiaro: «Per come la vedo io, è inevitabile che si svolga prima della fine della settimana quindi spero sia calendarizzato nelle prossime ore. Altrimenti lo chiederò ufficialmente». Il timore di Fratelli d'Italia e Lega è di restare spiazzati. Cosa accade se Berlusconi rinuncia all'ultimo momento? A quel punto potrebbe giocare lui il ruolo di regista dell'operazione Quirinale. È un'ipotesi che a quanto pare non li tranquillizza.

Il problema è che Salvini e Meloni guardano all'orizzonte in modo parecchio diverso. Il primo, con Draghi o senza Draghi, immagina un governo dei leader, dove lui ritroverebbe anche una centralità ministeriale e avrebbe tempo per preparare il voto del 2023 senza avventurarsi in scommesse al buio. Salvini rivendica un ruolo da protagonista che nell'ultimo anno ha faticato a interpretare. Il suo attivismo, i contatti, le iniziative, sono la ricerca di una leadership nel «centrodestra», un modo per dire a alleati e avversari che per qualsiasi iniziativa politica bisogna comunque parlare con lui. È un ruolo che però non è scontato gli sia riconosciuto.

Giorgia Meloni non è interessata al governo dei leader. Non si sta neppure muovendo come regista per portare qualcuno sul Colle. Ha detto sì alla candidatura di Berlusconi, come Salvini, ma il suo piano B è funzionale a un solo obiettivo: andare alle elezioni il più presto possibile. È per questo che non vede affatto male come alternativa per il Quirinale proprio Draghi. Il trasloco per lei ha un significato ben chiaro: si va al voto. È quello che chiede dalla fine del Conte bis. I rapporti personali con Draghi, oltretutto, sono piuttosto buoni, migliori di quelli tra l'attuale premier e Salvini. Le strategie politiche tendono quindi sempre più a divaricarsi. Il sospetto è che a dare equilibrio nella coalizione sia proprio la presenza di Berlusconi, figura ingombrante ma che ritarda la resa dei conti tra i due leader più giovani.

È la sua candidatura che finora ha lasciato in secondo piano le divergenze sul prossimo presidente della Repubblica e su cosa fare nell'ultimo anno di legislatura. Il vertice del centrodestra non serve quindi solo a chiarire le scelte di Berlusconi, ma a definire i rapporti all'interno della coalizione e in che modo arrivare alle prossime elezioni. Non è una questione da poco.

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