"Con le sanzioni alla Russia imprese ko"

Arredamento in ginocchio. Parla Giovanni Anzani, presidente di Assarredo: "Ci mancano le commesse di Mosca"

Produzione industriale
Produzione industriale

«Il Paese è fermo, e lo sciopero delle valigie negli aeroporti ne è il perfetto paradigma. Forse più del Pil che fa il gambero». C'è amarezza nella voce di Giovanni Anzani, presidente di una realtà come Assarredo fatta di legno, colla, vernici, idee e mani d'artigiano. Gli ultimi sette anni il settore li ha vissuti sempre in trincea. Anche prima della crisi dei mutui subprime negli Usa: la bolla immobiliare in Florida fa sentire il botto fino alla Brianza. Da lì in poi, è tutta strada in salita, tra banche che serrano i rubinetti del credito e molte, troppe imprese che tirano giù la claire perché non ce la fanno più. «Entro l'anno altre aziende chiuderanno», è la fosca previsione di Anzani. Adesso ci si sono pure messi i venti di guerra tra Russia e Ucraina a far quadrare ancor meno i bilanci. «Le sanzioni hanno bloccato i conti, e i russi - spiega Anzani - non sono più in grado di pagarci. E di nuovi ordini, neanche l'ombra». Un motivo di preoccupazione verso quello che per l'industria dell'arredamento tricolore era diventato il quinto mercato di riferimento, da aggiungere a quel buco nero che è diventata la Libia. «Quello è un mercato chiuso, morto. Un tempo non era così. Due giorni prima della caduta di Gheddafi, Poliform, la mia azienda, aveva commesse per 20 milioni di euro. Tutto in fumo». Mercati emergenti come il Brasile? «Bel posto, peccato che le tasse sono per noi un muro invalicabile».

Le difficoltà in cui da tempo si dibatte il macrosistema legnoarredo sono ben riassunte da un paio di cifre. Queste: nel 2007 il giro d'affari valeva 42,5 miliardi; l'anno scorso il fatturato superava di poco i 27 miliardi. Riuscire a recuperare i livelli pre-crisi sarà come scalare l'Everest con le infradito. Anche perché spesso si tratta di piccole realtà imprenditoriali, cui è preclusa la via della delocalizzazione. In ogni caso, nessuno (o quasi) vuole perdere quella specificità impressa nel Dna. «Le macchine e le tecnologie si acquistano, il design si può copiare, ma gli artigiani non si possono comprare». Un patrimonio di professionalità forse non proprio a rischio di estinzione, ma sicuramente in pericolo. Soprattutto se l'Italia continuerà a suonare la marcia funebre della recessione. Altro che riforme: «Solo annunci, troppa voglia di tutelare vecchi privilegi». Pochi i fatti. Se la Confcommercio ha liquidato il bonus da 80 euro come una modalità dall'effetto invisibile sui consumi, Anzani ne parla come uno strumento «da propaganda elettorale». Servirebbe altro. Lanciata all'epoca del governo Monti, la proposta di abbassare l'Iva al 4% per gli appartamenti semi-arredati è rimasta lettera morta. «E meno male che il bonus mobili, seppur partito col piede sbagliato, sta funzionando e ci darà un po' di respiro. Almeno fino a fine anno».

A conti fatti, il settore dell'arredo

si sente poco tutelato. Lasciato solo a combattere un colosso come l'Ikea, la cui espansione «andava forse limitata», vorrebbe trovare nell'Ice una leva per crescere. C'è però un problema. Il solito: «Non ci sono fondi».

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