Saragat e i fasti dell'inaugurazione. Poi è iniziata la via crucis senza fine

Anni di interventi, sos mai ascoltati. E il terrore di attraversarlo

Saragat e i fasti dell'inaugurazione. Poi è iniziata la via crucis senza fine

Per i genovesi quel ponte non era soltanto una struttura architettonica. Era simbolo di grandeur, il «Ponte di Brooklyn» sotto la Lanterna, un modello di mobilità all'avanguardia. L'immagine di una città una volta moderna e ora sepolta, non solo figurativamente, da polvere e macerie. Ma anche un'icona del cuore. Il ponte che rappresentava la partenza per le vacanze e il ritorno a casa, il ponte degli spostamenti quotidiani.

«Potevo esserci io», poteva esserci chiunque. È quello che pensa ogni genovese. Perché quel ponte, quel tratto di autostrada è, anzi, era, l'unica alternativa alla viabilità ordinaria. L'unico modo possibile per andare dal centro all'aeroporto, alla riviera di Ponente verso la Francia. E l'unica via possibile per il porto di Genova e il centro cittadino, o eventualmente per proseguire verso Levante e verso Milano. Una sorta di tangenziale per recuperare un po' di tempo ed evitare il traffico cittadino, impensabile calcolare quante centinaia di volte ogni genovese abbia percorso quel viadotto, sospeso nel vuoto. E negli ultimi anni, ogni volta che si passava di lì, si tratteneva il fiato. Già perché il pericolo di quel ponte era sotto gli occhi di tutti. Pochissimi, quasi nessuno, ne avevano vaticinato il crollo e avevano previsto una tragedia di tale portata, ma il pensiero di tanti in città, transitando da lì, toccava l'idea che la sicurezza fosse un optional. E ora che si contano i morti, che si scava tra le macerie, che ci si rende conto di essere almeno un po' miracolati, quei tragici sospetti diventano orrendi presagi di ciò che è davvero successo. Anche se mai ci si sarebbe aspettati un tale epilogo. E pensare che, sembra paradossale di fronte a una tragedia del genere, poteva andare peggio. Molto. In una giornata di traffico, magari in autunno, le vittime sarebbero state centinaia. Un'ecatombe.

Negli ultimi anni il ponte Morandi è stato oggetto di decine e decine di interventi di manutenzione, ordinari e straordinari. Soltanto nelle scorse settimane la società autostrade aveva deciso di chiudere il tratto e tramite un carroponte che era stato allestito, aveva lavorato per rinforzare la struttura. Chiusure notturne che avevano causato il blocco del traffico in città. Di notte, in agosto. Facile immaginare cosa capiterà nei prossimi mesi in una città stretta e difficilissima come Genova. Ma sono anni che chi vive sotto il viadotto, nella zona di confine tra i quartieri di Sampierdarena e Rivarolo, denuncia la pericolosità del ponte. Crepe, venature, cigolii, e anche caduta di piccoli calcinacci erano all'ordine del giorno e nonostante segnalazioni e proteste non sono stati, evidentemente, presi nella dovuta considerazione, al di là della manutenzione. Un ponte maledetto, inaugurato nel 1967 in pompa magna dall'allora capo dello Stato Giuseppe Saragat e annunciato come un'opera rivoluzionaria e invece poco sicuro sin da subito, con interventi di ogni tipo che si sono susseguiti negli anni. Fino al 2011, quando un report ne denunciò la pericolosità e il degrado per via dell'eccessivo traffico di auto e mezzi pesanti.

O al 2016, quando un esperto lanciò l'allarme per un possibile crollo.

Impensabile per molti. Eppure accaduto davvero. Con quel ponte è crollato anche il sogno di una città che lo aveva eletto a suo simbolo e icona. Una città, adesso, spezzata in due.

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