Lo scandalo Equitalia: 15 anni di cartelle false per 217 miliardi di euro

Sconcertante audizione dell'ad Ruffini in commissione Bilancio: una richiesta su cinque non era dovuta. Esigibili solo 51 miliardi

P iù che «cartelle pazze», cartelle inventate. L'ad di Equitalia, Ernesto Maria Ruffini, parlando in commissione Bilancio al Senato chiama «patologia estrema» il nodo delle quote inesigibili assegnate negli ultimi tre lustri al riscossore dei tributi, ricordando che solo il cinque per cento dei 1.058 miliardi di euro di crediti sono «effettivamente lavorabili».Ma sembra patologico anche il più vistoso dei dati snocciolati da Ruffini ieri. Ossia che il 20,5 per cento di quei mille e passa miliardi di euro - pari a quasi 217 miliardi - sono inesigibili semplicemente perché i destinatari delle cartelle non li dovevano pagare. Tanto che quei crediti sono stati «annullati dagli stessi enti creditori in quanto ritenuti indebiti a seguito di provvedimenti di autotutela da parte degli stessi enti o di decisioni dell'autorità giudiziaria».Insomma, una volta su cinque il fisco bussa alla porta dei contribuenti senza alcun motivo, e alza le mani solo quando i tartassati loro malgrado riescono a farsi giustizia passando per le carte bollate, costringendo l'amministrazione pubblica a innestare la retromarcia. Una percentuale da brividi, una pioggia di errori che hanno attentato ingiustamente alle finanze dei contribuenti. E se le statistiche ci dicono che più del venti per cento delle cartelle sono farlocche, non dicono quanti contribuenti invece, ricevuta la cartella «creativa», hanno pagato senza contestare o fare ricorso, non accorgendosi, o non potendo controllare, se quella richiesta del fisco fosse o meno motivata. Un punto che fa pensare che l'«errore» tutto sommato possa spesso finire per far fare cassa al fisco, sfilando comunque soldi - non dovuti - alle tasche dei cittadini. Quanto alle amministrazioni «distratte», quelle richieste indebite per 216,89 miliardi di euro, ha spiegato ancora l'amministratore delegato di Equitalia, provengono in gran parte dall'Agenzia delle entrate (175 miliardi di euro), mentre il resto si divide tra Inps (23,3 miliardi), Inail (10 miliardi) e altre amministrazioni pubbliche (7,4).D'altra parte, se solo una cinquantina di miliardi su oltre mille di quei crediti sono «effettivamente lavorabili», sembra chiaro che anche il restante delle cartelle esattoriali spedite da Equitalia ha qualche problema. Oltre 300 miliardi di euro, per esempio, secondo Ruffini sono «difficilmente recuperabili» perché i debitori sono passati a miglior vita, falliti o nullatenenti, o perché le imprese destinatarie della cartella hanno già chiuso i battenti. E dell'ultima metà di quel monte di soldi che il fisco ha chiesto a Equitalia di recuperare, un gruzzolo pari a 500 miliardi di euro? Il 60 per cento riguarda posizioni «per cui si sono tentate invano azioni esecutive», un centinaio di miliardi sono quelli effettivamente riscossi (in parte a rate) e, appunto, i crediti realmente esigibili che restano sono solo 51 miliardi, il 5 per cento del totale.Quanto alla rateizzazione delle cartelle esattoriali, l'ad di Equitalia Ruffini ha ricordato come ormai la metà degli incassi arrivi proprio dalle pratiche dilazionate (sono state 1,2 milioni le richieste presentate dai contribuenti nel solo 2015). E sul punto, c'è anche una notizia positiva per chi ha scelto di saldare un po' alla volta il suo debito con il fisco. Fino a oggi, chi era stato indotto a pagare con il fermo amministrativo di un mezzo, prima di poterlo utilizzare di nuovo doveva aspettare di aver versato l'ultima rata.

Ora invece le «ganasce fiscali» potrebbero diventare più morbide perché, ha spiegato ancora Ruffini, Equitalia si riserverà la «possibilità di sospendere» il fermo amministrativo (anche se «non la possibilità di toglierlo») per i «soggetti che fanno richiesta delle rate e che le pagano».

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