«Ora basta, mi hanno scocciato». Se un personaggio cortese e beneducato come Giuliano Pisapia sbotta in questo modo, annullando platealmente l'incontro fissato ieri mattina coi vertici di Mdp, vuol dire che di Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani non ne può proprio più. Tant'è che nel comunicato ufficiale con cui si dà notizia della decisione di far saltare l'appuntamento, il messaggio al diabolico duo di ex segretari post-Pci è molto chiaro: «Non si può far politica con la testa rivolta all'indietro».
La rottura era nell'aria già da un paio di giorni, da quando gli scissionisti Pd avevano dato il via all'isteria collettiva causa effusioni pubbliche tra Pisapia e Maria Elena Boschi. Una sceneggiata con punte di puro surrealismo che ha mandato fuori dai gangheri il pur mite ex sindaco di Milano. Così come, dal canto suo, D'Alema fa sapere di essere estremamente offeso per le «battute irriguardose» di Gad Lerner, consigliere pisapiano, che aveva confidato scherzoso ad alcuni amici che «quando Massimo dice a Giuliano tu sei il leader, noi ci tocchiamo le palle».
Tanto da aver dato a Roberto Speranza e agli altri colonnelli di Mdp l'ordine di non partecipare ai tavoli «programmatici» presieduti appunto da Lerner. Un clima ormai da Casa Vianello. Dietro però c'è ben altro: il problema di fondo è chi comanda dentro il partito della sinistra (per ora immaginario), e soprattutto chi decide le candidature nelle future liste elettorali. Bersani e D'Alema vogliono deciderle loro. Non lo dicono apertamente ma mandano a Pisapia insistenti messaggi, spiegando che per scegliere le candidature bisogna assolutamente fare «le parlamentarie», sulla base di un «albo degli iscritti».
Il senso è chiaro: visto che Mdp, con il suo piccolo esercito di quadri locali fuoriusciti dal Pd e di tesserati è l'unica forza organizzata nel calderone che ruota attorno a Pisapia, avrebbe gioco facile a mandare i propri militanti a votare i candidati dalemian-bersaniani, facendo piazza pulita di tutti quelli che l'ex sindaco vorrebbe mettere in lista. Del resto il problema, per Mdp, è reale: ha decine di parlamentari che tutto vogliono tranne che restare disoccupati, e deve trovare il modo di farli rieleggere. «Non è che possiamo fare i portatori d'acqua per mandare in Parlamento qualche residuato dei Verdi o qualche vecchio professore di belle speranze», si sfoga uno dei diretti interessati, riferendosi senza citarli al verde Bonelli o al costituzionalista Onida, che Pisapia sponsorizza.
L'ex sindaco di Milano non ha alcuna intenzione di far fare le liste a Bersani e D'Alema: «Quelli vogliono solo rimettere in piedi la Ditta, usando Giuliano come specchietto per le allodole. Ma lui non ci sta a fare la bella figurina: non lo fece con Renzi quando gli offrì un posto in lista, certo non lo farà con D'Alema», dice un amico di Pisapia.
Le distanze politiche sono altrettanto vaste: D'Alema vuole mettere insieme tutto ciò che esiste a sinistra (compresi i vendoliani e gli ex comitati del No al referendum) per fare un partito anti-Pd: «Finché sono vivo io, Renzi avrà un problema», è il suo grido di battaglia.
Pisapia e i suoi vogliono invece evitare come la peste l'effetto «sinistra arcobaleno», e costruire piuttosto una sorta di mini-Ulivo con una componente centrista, capofila Bruno Tabacci. Che allo stato è uno dei più pessimisti sul futuro dell'operazione pisapiana: «Quelli vogliono fare il Fronte Popolare, non siamo interessati».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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