Se anche gli alawiti voltano le spalle ad Assad

Pressioni internazionali dietro un documento della minoranza al potere a Damasco

di Fiamma NirensteinCon un documento firmato dalle principali famiglie alawite sembra davvero che la setta minoritaria al potere in Siria insieme alla famiglia Assad dal 1971 si prepari a un inevitabile cambiamento. Le pressioni, specialmente quelle americane e quelle saudite sono ultimamente diventate molto decise; e inoltre il giornale di proprietà saudita al-Hayat di Londra riportava che John Kerry, segretario di Stato americano, aveva informato diversi Paesi arabi di un accordo segreto con la Russia per spingere il dittatore siriano Bashar Assad a lasciare il Paese in vista di un accordo di pace. E gli alawiti, o almeno parte di essi, sembrano capire bene, dopo avere a loro volta subito, sembra, centomila perdite, ciò che ormai è scritto sui muri delle disperate, distrutte citta siriane: la situazione è per loro sempre più pericolante e difficile, e per molti anche dispari. «Non tutte le hamule alawite - dice Harold Rhode, già consigliere del Pentagono e studioso di Medio Oriente - hanno goduto i frutti del potere di Assad, anzi, molte hanno sofferto mentre erano bistrattate da famiglie più importanti. E adesso il senso di vendetta e la preoccupazione per il futuro si mescolano».Gli alawiti giunsero al potere nel 1971 col padre di Bashar Assad, l'astuto Hafez, distinto e pallido tiranno omicida che nel 1982 inaugurò la tendenza stragista della famiglia con un eccidio di massa a Hama, dove fece fuori poco meno di 50mila abitanti sunniti. Superando gli scontri fra hamule gli alawiti sono rimasti per lo più serrati intorno alla leadership del raìs e hanno costituito un corpo militare famoso per la sua ferocia e determinazione, mentre il loro legame con lo sciismo diventava sempre più profondo. Ma ecco che dopo parecchi movimenti sotterranei, qualcosa si agita quasi sotto il sole: un documento in 35 punti stilato da esponenti che vivono in Siria esamina sotto il titolo «Dichiarazione di riforma di identità» la situazione che si è venuta a creare in questi cinque anni di guerra mostruosa, e mentre dichiara di «non essere contro Assad come persona» pure spiega: «Non possiamo salvare lo Stato se lui si dimette subito. Ma con lui al potere non ci saranno riforme. Così abbiamo bisogno di un cambiamento per fasi, monitorato dalla comunità internazionale». Il gruppo dei firmatari si pone come obiettivo di «superare i contrasti dottrinari che contrappongono alawiti e sunniti» ed è ovvio qui il riferimento alla parte della popolazione in armi contro il regime di Assad in un conflitto che ha fatto 350mila morti e spinto milioni di profughi via dalle rovine in fiamme, mentre entravano le orde dell'Isis nelle città siriane o si temevano, dall'altra parte, gli hezbollah e gli iraniani ormai protagonisti dello scontro. Non è da adesso che sunniti e alawiti sono in armi gli uni contro gli altri sulle propaggini del grande scontro sunnita-sciita, da quando l'identificazione degli alawiti con la parte sciita è diventata sempre più intensa: di fatto durante questa guerra, difficilmente senza il sostegno armato e strategico degli iraniani e la forza armata del gruppo terrorista degli hezbollah, tutti sciiti, Assad non sarebbe andato avanti a lungo. Quando Putin ha dichiarato compiuto il suo intervento in Siria, di fatto non ha prefigurato un abbandono del territorio siriano con lo sbocco sul Mediterraneo e la base area russa, ma certo ha lanciato un segnale che indebolisce il raìs.

Da tempo è chiaro che un cambiamento di regime monitorato dalla comunità internazionale sia almeno parte della soluzione siriana, e che per questo occorra una defezione preventiva del muro di difesa alawita. Ma certamente l'Iran e gli Hezbollah (in difficoltà nella patria Libanese a causa dell'avventura siriana) chiederanno per questo la loro mercede, e non sarà la più facile o accettabile

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