Elezioni in Grecia

Il bivio di Bruxelles tra dialogo e rottura totale

Se Atene sceglie l'intransigenza, è a rischio il rilancio economico dell'Ue

Il bivio di Bruxelles tra dialogo e rottura totale

L'ampia vittoria di Syriza in Grecia – primo successo in Europa di un partito che contesta apertamente le condizioni imposte dalla Troika in cambio di una operazione di salvataggio (nella fattispecie, un prestito di 240 miliardi di euro) apre la possibilità di due scenari contrastanti. Nel primo il giovane Alexis Tsipras, nonostante le dichiarazioni incendiarie del la campagna elettorale, viene a più miti consigli, rinuncia a realizzare in pieno un programma di riforme interne finanziariamente insostenibile e apre un negoziato con Bruxelles per una rimodulazione del debito, ma senza rinnegare del tutto gli accordi conclusi dal suo predecessore Samaras che ha seguito fedelmente i dettami dell'Europa.

Non bisogna aspettarsi da lui una vera marcia indietro, perché non può deludere un elettorato che lo ha votato per uscire finalmente da una condizione di miseria che dura da ormai cinque anni, ma, se vuole evitare un'uscita forzata dalla moneta unica, con relativa perdita degli aiuti europei, può rimodulare le sue richieste in modo da rendere almeno possibile l'apertura di un negoziato. Se questo avvenisse, l'Europa dovrebbe, a sua volta, aprirsi al dialogo, fare balenare fin dall'inizio la possibilità di qualche concessione e accettare l'ipotesi di ulteriori perdite finanziarie pur di scongiurare una crisi dalle proporzioni e dalle conseguenze imprevedibili. Perché ciò avvenga, bisogna che entrambe le parti – ma soprattutto quella greca – diano prova di responsabilità. Ci sono segnali, per la verità non univoci, che la stessa Germania, preoccupata per un possibile contagio della crisi agli altri Paesi più deboli come Spagna, Portogallo e perfino Italia, sia disponibile ad aprire un dialogo pur di scongiurare il cosiddetto Grexit.

Il secondo scenario è di gran lunga il più inquietante: Tsypras, inebriato dal successo, pretende di rinegoziare completamente le condizioni del maxiprestito concesso dalla troika, cancellandone anche una parte, e porta avanti con decisione il suo programma di rilancio dell'economia e di distribuzione di risorse che porterebbe il Paese alla bancarotta: per ripristinare le tredicesime, rilanciare lo stato sociale e procedere a un programma di assunzioni nel pubblico per attenuare una disoccupazione del 25% non ci sono infatti assolutamente le risorse. Una simile linea dura da parte del nuovo governo che Syriza dovrà presentare entro quindici giorni avrebbe inevitabili ripercussioni in tutta Europa, riaccendendo la febbre degli spread, rendendo più arduo il compito della Bce e della commissione Juncker di rilanciare l'economia e, probabilmente, contribuendo alle fortune di altri partiti populisti e antieuropei, di destra e di sinistra, come Podemos in Spagna e l'Ukip in Gran Bretagna.

Siamo di fronte a un vero e proprio bivio. In teoria, lo scenario numero uno è nell'interesse di tutti, ma comporta concessioni reciproche che la politica potrebbe rendere impossibili. Lo scenario numero due, al contrario, finirebbe con il recare danno a entrambi, ma sia la difficoltà di trovare una mediazione che non faccia perdere la faccia a nessuno, sia l'impostazione ideologica anticapitalista di Syriza, partito di estrema sinistra non a caso alleato in Italia con Sel, sono ostacoli seri a una soluzione di buon senso.

Comunque vada, è davvero irritante che la Grecia, che produce solo il 2% del Pil dell'Unione Europea (e che, se non avesse barato sui bilanci, non avrebbe potuto neppure entrarvi), riaccenda una crisi che, con le ultime decisioni della Bce, aveva preso una piega meno allarmante.

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