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Se il Nobel spara alla jihad

È un conflitto che imbarazza, e non poco, la sinistra buonista di casa nostra

Se il Nobel spara alla jihad

Può un premio Nobel per la Pace dichiarare guerra a una minoranza jihadista che terrorizza il suo Paese? Sì, ed è un conflitto che imbarazza, e non poco, la sinistra buonista di casa nostra. Ieri tutti i giornali davano conto degli scontri nel nord della Birmania. L'ex Myanmar guidata da Aung San Suu Kyi è minacciata da alcuni ribelli che lo stesso premio Nobel definisce «una minoranza di terroristi bengalesi» di lingua rohingya , che si sarebbero spostati in Birmania durante il periodo del dominio britannico. Nei giorni scorsi nello stato di Rakhine, nel Nord del paese, sono morte più di 70 persone, tra cui una decina di militari birmani, a causa della guerriglia dei rohingya e degli attacchi armati lanciati dai terroristi islamici con bombe a mano ed esplosivi artigianali. La risposta militare ha inevitabilmente coinvolto anche i civili in fuga dai villaggi e intrappolati dal fuoco dall'esercito birmano. Un giornalista di France Press che avrebbe assistito al bombardamento dei villaggi dei ribelli con mortai e mitragliatrici al confine di Ghundhum. I morti sarebbero - secondo le Ong e gli operatori internazionali presenti - almeno 90, in stragrande maggioranza donne e bambini che con la guerriglia non avrebbero nulla a che fare. Il Bangladesh ha già detto di non avere alcuna intenzione di riprenderseli in casa. E neanche il presidente Aung San Suu Kyi intende indietreggiare di un millimetro. In realtà la San Suu Kyi è andata oltre: attraverso il suo consigliere per la sicurezza, come riporta l'Huffington Post, ha deciso di non concedere i visti di ingresso agli inviati delle Nazioni Unite, forte anche del sostegno delle posizione delle autorità religiose buddiste del Myanmar, fortemente anti-islamiche, che sempre secondo l'Huffington le hanno garantito il successo alle presidenziali del 2015 e rappresentano uno dei principali pilastri del suo consenso. Lasciando così di stucco i soliti buonisti di casa nostra, che si chiedono come mai la paladina della democrazia che ha conosciuto la sofferenza della prigionia solo per le sue idee non voglia prendere in considerazione l'ipotesi di trattare con la minoranza musulmana, come peraltro continua (legittimamente) a chiedere la commissione Onu presieduta dall'ex segretario generale Kofi Annan. E a novembre nel Paese arriverà Papa Bergoglio. Non sappiamo con certezza se è vero che nella guerra tra Birmania e minoranza islamica ci siano violazioni dei diritti umani, ma purtroppo parafrasando Mao Tse Tung la guerra come la rivoluzione non è un pranzo di gala. La lezione del Nobel della Pace è che la risposta alla jihad e al terrorismo deve essere netta. Ma guai a dirlo alla sinistra italiana.

Twitter: @felfauman

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