"Se le parti lo chiedono porte aperte in Vaticano per mettere fine a questa terribile guerra"

Il "ministro degli Esteri" della Santa Sede: "Il dialogo richiede coraggio e impegno"

"Se le parti lo chiedono porte aperte in Vaticano per mettere fine a questa terribile guerra"

Monsignor Paul Richard Gallagher, lei è Segretario per i Rapporti con gli Stati, il «ministro degli esteri» del Vaticano. Per la guerra in Ucraina il Papa si è speso tanto e si è fatto avanti come possibile mediatore. Si sono fatti passi in avanti su questo tema? È una possibilità quella di aprire un tavolo di trattative in Vaticano?

«La Santa Sede e il Papa in persona sono sempre stati disponibili dall'inizio della guerra ma finora non c'è stata una risposta concreta. Nonostante ciò, la Santa Sede rimane sempre a disposizione. E se fosse opportuno e necessario offrire gli spazi del Vaticano, come abbiamo fatto anche nel passato, credo che il Santo Padre accoglierebbe molto positivamente questa idea, se la domanda arrivasse dalle due parti, con tutte le buone intenzioni e con uno spirito di ricerca della pace, del dialogo e soprattutto se c'è la volontà di mettere fine a questa terribile guerra».

La Chiesa e il Vaticano si stanno spendendo tanto anche per le questioni umanitarie, penso alla mediazione svolta dal Papa per lo scambio dei prigionieri...

«Questa è stata un'attività costante in questa guerra che la Santa Sede, però, svolge da sempre: abbiamo collaborato speso con la Croce Rossa e inoltre possiamo facilitare gli scambi avendo la fiducia delle parti in causa. Oltre a questo c'è l'aspetto umanitario: il Santo Padre aveva mandato il cardinale Krajewski e il cardinale Czerny per manifestare la sua disponibilità sulle questioni umanitarie. Ovviamente gran parte del lavoro è stato fatto anche dall'Elemosineria, così come la Caritas e le chiese locali. Ho potuto vedere con i miei occhi cosa fanno lì le diocesi per accogliere gli sfollati».

Sullo sfondo rimane sempre però il commercio delle armi. Ci sono dei Paesi che guadagnano con la guerra?

«Evidentemente qualcuno guadagna, ci sono Paesi che ospitano le fabbriche delle armi. Ovviamente noi non contestiamo la giusta difesa di fronte all'aggressione, però bisogna mantenere questo difficile equilibrio di proporzione delle armi. Abbiamo già visto quanto è costata questa guerra, perdite enormi, ed è necessaria una solidarietà con l'Ucraina. Però bisogna mantenere un certo controllo. Dobbiamo riconoscere che immense somme dedicate alle armi vengono sottratte ad altro: c'è una crisi alimentare, la crisi del grano, la crisi economica in molti Paesi. Infine sul tema del nucleare dobbiamo chiederci: siamo più sicuri avendo queste armi di distruzione di massa?».

Il Papa aveva detto di essere disponibile a recarsi a Mosca per parlare con Putin e provare a fermare la guerra. La risposta è stata che per il momento non è necessario. Quali sono ad oggi i rapporti con il Cremlino?

«Manteniamo i normali rapporti diplomatici tramite un nunzio apostolico a Mosca e un ambasciatore della Federazione Russa presso la Santa Sede. E dobbiamo dire che questi canali funzionano, anche soprattutto nel caso dello scambio dei prigionieri, grazie agli appelli che fa il Papa a favore dei soldati. Però oltre a questo non c'è stato un granché con Mosca. C'è stato più scambio con le autorità ucraine negli ultimi tempi».

Ma siamo ancora in tempo per la pace?

«C'è sempre tempo per la pace, questo è il desiderio più profondo della gente, soprattutto di questi due popoli in conflitto. Però il dialogo, il negoziato richiede molto coraggio! Ultimamente il cardinale Parolin celebrando una messa per la pace ha detto che è quasi necessario un miracolo! Ecco, serve un impegno spirituale a favore della pace».

Perché i potenti non ascoltano le parole del Papa?

«Credo che ascoltino il Papa ma decidono di non reagire e non accogliere il messaggio fino in fondo. Ci sono tanti interessi in campo, tante posizioni, tante intransigenze. Se noi vogliamo davvero accogliere nel cuore il messaggio del Papa, dobbiamo fare qualcosa».

Dunque che appello si sente di fare alle parti in guerra?

«Credo che il messaggio che io farei a nome della Santa Sede è di cercare di avere quella visione lungimirante, di ascoltare il grido dei popoli, ascoltare le

sofferenze di tutti. Trovare il coraggio di abbracciare le opportunità che sicuramente ci saranno nelle prossime settimane e nei prossimi mesi per tornare a un dialogo, tornare a trattare e mettere fine a questa guerra».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica