Se scrivi «zingaro» su internet è incitamento all'odio razziale

Dopo la censura a Salvini, il nostro test su Facebook. Basta usare quella parola e si viene bloccati: «Violati gli standard etici». Poi la retromarcia del sito: «Cancellato per errore»

Se scrivi «zingaro» su internet è incitamento all'odio razziale

È ufficiale, per Facebook la parola «zingaro», presente in tutti i dizionari di lingua italiana e persino in Vaticano (c'è la Pastorale degli Zingari, l'Incontro mondiale sugli zingari, tra l'altro organizzato dal cardinale che ha definito «stupide» le parole di Salvini) è di per sé un incitamento all'odio. Basta scrivere la parola «zingaro» e Facebook ti segnala e censura come se fossi un naziskin pronto ad un raid punitivo. Abbiamo fatto un test, visto che quelli di Facebook si sono arrampicati sugli specchi dopo aver sospeso Salvini per un post sugli «zingari», sostenendo che è stato fatto per errore, mentre altre ricostruzioni l'hanno spiegato con la virulenza di certi commenti al post e non per la semplice parola «zingaro». Peccato sia falso: per essere segnalati come pericolosi xenofobi razzisti basta la parola, come per il confetto Falqui.

Abbiamo scritto «zingari» (in varie declinazioni: zingare, zingara etc) per vedere cosa succedeva. Ed è successo: il giorno dopo Facebook ci ha segnalato di aver rimosso quel post, che conteneva solo la parola «zingaro» e nessun commento becero, «perché non rispetta gli standard della comunità di Facebook ». Andiamo a vedere questi standard di Facebook , social network dove si leggono le peggio bestialità e insulti e minacce di morte senza che nessuno muova un sopracciglio, e troviamo, tra i contenuti considerati inammissibili, oltre ad «attività criminali», «violenze e sfruttamento sessuale», «minacce dirette», anche i «contenuti che incitano all'odio». E qui si spiega che « Facebook rimuove i contenuti che incitano all'odio, compresi quelli che attaccano direttamente una persona o un gruppo di persone in base a: razza; etnia; nazionalità di origine; affiliazione religiosa; orientamento sessuale; sesso; disabilità o malattia. Le organizzazioni e le persone impegnate a promuovere l'odio contro questi gruppi protetti non possono avere una presenza su Facebook ». Dunque la semplice parola «zingaro», per gli standard del più diffuso social network al mondo, è di per sé un incitamento all'odio razziale e trasforma chi la usa in una «persona impegnata a promuovere l'odio contro» i rom. In confronto le censure della vecchia Dc alle pellicole di Cinecittà erano innocue pruderie.

Funziona così: qualcuno su Facebook legge il post e, trovandolo razzista o violento, lo segnala al network che lo analizza e, nel caso sia incompatibile con lo standard etico di Facebook , lo cancella. Il procedimento insomma non è automatico, non c'è un filtro ma una valutazione da parte del personale di Facebook . Quelli in Italia, si presume.

Anche l'account della Lega nord su Facebook ottiene lo stesso risultato. Dopo aver scritto «Anch'io dico zingaro», arriva il messaggio di Facebook che avvisa della rimozione del contenuto non appropriato. Commento dei leghisti: «Niente da fare. Per Facebook ZIN*ARO non si può dire... (Invece qualsiasi insulto o maledizione a Matteo Salvini, da epiteti sulla madre fino, direttamente, all'augurio di morte violenta sono consentiti)».

Proviamo a contattare Facebook , che ha una sede superfighetta in centro a Milano, e dopo un po' ci arriva una mail con la solita spiegazione precotta: «Abbiamo rimosso erroneamente il contenuto» (poi rimesso on line).

In alternativa, per avere maggiori ragguagli, si può scrivere una raccomandata alla sede centrale, Menlo Park, in California. Oppure a Grand Canal Harbour, a Dublino, Irlanda, dove Facebook paga le tasse (dribblando così il fisco di quei razzisti di italiani).

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