Se il voto è sacro per Erdogan (ma non vale per Berlusconi)

Anche per il Corriere, dopo i leader della Terra, non si rovescia chi è stato eletto. Ma qui nel 2011 non fu così

Se il voto è sacro per Erdogan (ma non vale per Berlusconi)

Vorremmo chiedere a Obama, Merkel, Nato e Unione Europea perché non difesero Berlusconi, come sia pur tardivamente hanno fatto con Erdogan. E sostenere nel 2011 che non si tocca «un governo democraticamente eletto» (citazione testuale del presidente degli Stati Uniti) contro cui nessun golpe è ammissibile. Non è questione di attrezzi, se cioè si usano i tank come nei paesi orientali islamici o il combinato disposto di magistratura-mass media-Quirinale come in Italia: la sostanza è la medesima, chiamasi colpo di Stato. La verità assoluta, morale e politica, è stata pronunciata da Paolo Mieli nell'editoriale di ieri del Corriere della Sera. L'avremmo tanto voluta leggere nel novembre 2011, quando Silvio Berlusconi accettò di farsi fucilare pur di non trascinare l'Italia sotto la mano d'acciaio della finanza internazionale. Cosa ha scritto Paolo Mieli? La notte di silenzio che ha caratterizzato l'atteggiamento dei leader democratici prima che Obama pronunciasse parole di sostegno a Erdogan, sono condannate non solo come vile esempio di Realpolitik, ma sono, secondo Mieli, espressione di un certo razzismo occidentale verso le elezioni quando sono praticate in Paesi musulmani. Per cui le riteniamo un esercizio ozioso, cancellabile cancellabilissimo da qualche generale incazzoso. No, sentenzia Mieli: il voto resta gerarchicamente il primissimo, intangibile valore, dovunque sia esercitato. E allora perché non prende in esame il caso italiano?

Dice che, anche se il Sultano fosse quel mascalzone e affossatore di libertà fondamentali come si suppone, solo una tornata elettorale altrettanto regolare potrà un giorno detronizzarlo. Se poi Erdogan abolirà il ricorso alle urne, allora e solo allora potrà essere contemplato il ricorso alla forza. Ma fino a quel momento - come ha ricordato, sia pur tardivamente, Obama al termine di quella notte arroventata - il «governo democraticamente eletto» deve essere difeso. Sempre e comunque». Sempre e comunque. Ovviamente se si tratta di un presidente turco. Oppure egiziano. Infatti Mieli, con la sua logica affilata, fa a fette al Sisi, oggi leader supremo al Cairo. Il quale sarà anche un generale islamicamente moderato e infinitamente più nemico dell'Isis di Morsi, il presidente fratello musulmano e persecutore di cristiani copti, da lui destituito con un golpe. Ma Morsi constata il Corriere - era stato regolarmente eletto. E allora non si tocca.

Chi scrive ha molti dubbi sulla illibatezza democratica del Neo-Sultano. Paradossalmente, la defenestrazione di Erdogan sarebbe stata persino giustificabile a parere del qui scrivente - dal punto di vista del ristabilimento dello stato di diritto e della tutela della nostra sicurezza contro il male assoluto del Califfato. Tanto più dunque la difesa del buon diritto del leader turco avrebbe dovuto valere per Berlusconi. Esiste oggi un potere che agisce come i carrarmati dei golpisti di Ankara, ma non paga dazio. É quello di magistratura democratica e dei suoi vari sostenitori togati e no: per cui chi sta in uggia alle toghe rosse, viene eliminato. Capitò con Forlani, Altissimo, Craxi, poi con Andreotti, infine con Berlusconi.

A differenza del Sultano, che è uomo allevato nel culto dei giovani turchi e delle loro scimitarre, il Cavaliere ha preferito non opporre resistenza, farsi fucilare sulla piazza pubblica piuttosto che lasciare che facessero del male all'Italia in ostaggio. Ma adesso qualcuno chieda scusa.

Non si tratta qui delle quattro ore di ritardo di Obama, ma dei cinque anni di incresciosa omertà e di pelosa amnesia della intera classe politica e intellettuale, nazionale ed estera, che ha giustificato un volgare Putsch che ancora perdura. Toccherà al popolo sovrano rimediare, con il referendum e con il voto. Se finalmente glielo lasceranno fare.

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