Sergio Zanotti, ostaggio italiano in mano a presunti jihadisti, è stato liberato ieri. Nella notte è arrivato in volo a Roma. «Il connazionale appare in buone condizioni generali», ha spiegato il premier, Giuseppe Conte annunciando il rilascio dopo tre anni di prigionia. In realtà la Digos di Brescia, dove viveva Zanotti, ha sempre nutrito forti dubbi che sia stato veramente rapito da un gruppo jihadista. Le piste erano due: un falso sequestro oppure un rapimento di una banda di criminali comuni che cercavano di spillare più soldi spacciandosi per terroristi islamici. Oggi Zanotti sarà sentito dal pm di Roma, Sergio Colajocco. Grazie alla deposizione si spera che venga fatta chiarezza su questo sequestro ammantato da dubbi e stranezze.
Zanotti, presentato come imprenditore, è un tutto fare di 59 anni, originario di Marone (Brescia) che non navigava in buone acque. Nell'aprile 2016 si è recato in Turchia per un viaggio di lavoro. Poi era misteriosamente sparito. Si è parlato di un rapimento vicino al confine siriano o addirittura di un trasferimento oltre frontiera. Ad un certo punto un sedicente Abu Jihad, nome di battaglia che significa letteralmente «padre della guerra santa» si è fatto vivo con la famiglia per ottenere un riscatto. E ha sostenuto di fare parte di un gruppo jihadista collegato ad Al Qaida. In periodi diversi i sequestratori hanno realizzato due video inviati in Italia e fatti circolare su You Tube, che non sembravano girati in Siria. Filmati un po' anomali, che «copiavano» la classica scena jihadista lasciando forti dubbi. Uno dei filmati inquadrava Zanotti in ginocchio con una barba folta, lunga e una maglietta celeste, non la classica tuta arancione stile Guantanamo indossata dagli ostaggi dei veri gruppi del terrore islamico. Due incappucciati lo minacciavano con dei mitra in pugno in un ambiente chiuso. Nel filmato precedente il bresciano era sempre inginocchiato, ma fra alberi di ulivo, e sotto la minaccia di un uomo armato.
Ovviamente i presunti jihadisti minacciavano di ucciderlo, ma anche in questo caso la terminologia e l'insieme assomigliava molto ad una sceneggiata. L'ultima richiesta di riscatto via Facebook del sedicente Abu Jijhad era arrivata nel marzo 2017 con le foto del passaporto di Zanotti e la minaccia al governo italiano di eseguire la condanna a morte «fra tre giorni». Anche in questo caso erano state riscontrate anomalie rispetto ai rapimenti di Al Qaida e dell'Isis. Forse Zanotti è stato sequestrato da criminali comuni e venduto a bande diverse. Oppure, nell'ipotesi peggiore e tutta da provare, avrebbe simulato il rapimento, almeno all'inizio.
Il premier Conte ha sottolineato «il successo delle nostre istituzioni e, in particolare, dell'Aise (i servizi per l'estero nda). A loro il mio più vivo e sentito ringraziamento». L'ex moglie, Jolande Manier, ha dichiarato: «Siamo stati informati e siamo felici. Aspettiamo che la Farnesina ci aggiorni». E la sorella, Beatrice: «Sono contenta, però non so nulla di più. Non mi aspettavo che fosse vivo. Tre anni sono lunghi. Voglio capire cosa è successo. In famiglia sicuramente ce lo dirà, ma l'importante ora è che sia vivo». Purtroppo di altri quattro ostaggi italiani non si hanno più notizie. Il primo è padre Paolo Dall'Oglio, gesuita rapito il 29 luglio del 2013 dai terroristi dello Stato islamico a Raqqa.
Poi c'è Padre Luigi Macali sequestrato in Niger il 17 settembre scorso. E Luca Tacchetto, 30enne di Vigonza, scomparso in Burkina Faso dal 15 dicembre 2018 con un'amica canadese. L'ultimo ostaggio è la cooperante Silvia Romano sparita in Kenya da quattro mesi.
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