Nell'ecatombe bergamasca del coronavirus si consumano in silenzio piccoli atti di eroismo, uomini e donne che vanno incontro alla malattia e alla morte per non lasciare il loro posto: come il soccorritore del 118 Diego Bianco, stroncato la sera di venerdì. Come i medici e gli infermieri che ad Alzano e Bergamo hanno contratto il Covid-19 lottando per salvare altri malati. O come i sacerdoti che sono rimasti anche loro accanto a chi soffriva, e stanno pagando un tributo pesante: sei sono morti, altri quindici sono in un letto d'ospedale. «I nostri sacerdoti sono tanti - dice ieri il vescovo Francesco Beschi - e sono numerosi quelli che si sono esposti per stare vicino alla loro comunità. Quindi la loro malattia è un evidente segno di vicinanza, un doloroso segno di vicinanza e di condivisione del dolore».
Di fronte a questa tragedia, al contagio che ha fatto di questa provincia un inferno dove i forni crematori lavorano a ciclo continuo come una volta le fonderie e dove i necrologi riempiono ogni mattina dieci pagine di giornale, la sanità pubblica non ha potuto fare altro che prendere atto della sconfitta. Era una battaglia disperata, la lotta per aumentare i posti di terapia intensiva tenendo il passo dell'epidemia era persa in partenza. E quando l'assessore regionale alla sanità Giulio Gallera ha annunciato ufficialmente il sold out, «i posti di emergenza sono tutti pieni», ha semplicemente preso atto dell'inevitabile, al termine di un escalation inarrestabile che già sabato rasentava i tremila infetti. Così parte l'operazione di trasferimento al Centro e al Sud, negli ospedali toscani e pugliesi che si erano già dichiarati disponibili a accogliere i pazienti non da coronavirus e che adesso accettano anche i contagiati. Dalla Lombardia ne sono già partiti sessanta.
Nel deserto urbano di Bergamo, fioriscono sacche di aggregazione pericolose quanto impensabili. Le tabaccherie, che sono sfuggite alla chiusura governativa in quanto le sigarette sono state considerate genere di prima necessità, vengono prese d'assalto non tanto dai fumatori quanto dagli appassionati dell'azzardo, dai dopati delle lotterie istantanee e delle macchinette mangiasoldi che in questo dramma epocale si aggrappano all'illusione di una vincita milionaria. Al punto che il sindaco Giorgio Gori ha dovuto emanare un'ordinanza ad hoc per spegnere tutti i videopoker e proibire la vendita dei gratta e vinci: non per velleità moraliste ma per evitare assembramenti. Intanto ieri alle 15 alla direttrice del Giovanni XXIII, l'ospedale bergamasco divenuto l'epicentro della crisi, arriva la telefonata di Giuseppe Conte. Il presidente del Consiglio promette a Maria Beatrice Stasi aiuti economici e in personale, tra cui venti medici militari pronti a raggiungere Bergamo. «Ci ha espresso vicinanza e incoraggiamento - dice la Stasi - mi sono commossa. Ma soprattutto è stato importante potergli far arrivare direttamente il nostro grido d'aiuto: ci serve personale, ci servono dispositivi e attrezzature, ci serve alleggerire la pressione sui nostri ospedali». Ma nel frattempo continuano ad arrivare i racconti angosciati di chi in questi giorni al Giovanni XXIII ha perso i propri cari senza poterli rivedere: «Quando il malato muore ti avvisano con una chiamata, ma il cervello non ci crede. Il cadavere è lì - racconta a Bergamonews la figlia di Giuseppe Zaninoni, 72 anni - bisogna portarlo via. Fare posto ad un altro che forse si salverà. Forse.
Il cadavere viene messo in un sacco nero e portato con gli altri. La lista di attesa per la cremazione e' di 10 giorni. Troppi morti. Non c'è posto. Solo ieri ho dovuto chiudere 60 bare» ci dice il signore delle pompe funebri».
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