"Sesso e lavoro a 80 anni Oggi la vecchiaia non è tempo di riposo"

Il sociologo: non è una forzatura, abbiamo trovato una nuova «giovinezza biologica»

"Sesso e lavoro a 80 anni Oggi la vecchiaia non è tempo di riposo"

Professor Francesco Alberoni, la vita si allunga e gli italiani dovranno lavorare ancora più a lungo: fino a 67 anni.

«Io ne ho quasi 88 e non mi sono ancora ritirato. Anzi, vado avanti con i miei soliti ritmi: 10-11 ore al giorno. Ma non mi pesa».

Non è che lei è un'eccezione? O, se preferisce, un privilegiato?

«No, la vita prima era breve, oggi si è allungata. Ma non c'è solo questo».

Cos'altro è cambiato?

«È mutata la giovinezza biologica... La sua durata, la sua percezione».

Vale a dire?

«Prima la vita era miserabile. A quarant'anni l' uomo era vecchio e la donna era messa pure peggio. Oggi c'è una generazione di splendide attrici hollywoodiane sessantenni».

Che giocano a nascondino con l'età e le rughe?

«No, è proprio questo il punto. Sono e si sentono giovani a sessant'anni e forse pure a settanta. Sono cariche di energie, di voglia di fare, di curiosità e stanno bene con il proprio corpo».

Insomma, restare in ufficio fino a 67 anni, come succederà in Italia dal 2019, non è motivo di scandalo?

«E perché dovrebbe? Oggi a 70 o a 75 si va in crociera, un fatto prima impensabile. Oggi a 70 anni un uomo e una donna conoscono ancora il sesso. Un tempo il desiderio sessuale di una donna si spegneva fatalmente a 40 anni, dopo l'ennesima gravidanza, prima ancora della menopausa. E gli uomini, se coltivavano l'amore, lo facevano fra sofferenze fisiche e malattie».

Professore, forse esagera.

«No, sto raccontando la rivoluzione antropologica che è cominciata 150 anni fa e non è più finita. Pensi ai problemi della prostata, che tormentavano i maschi dai cinquanta, sessant' anni. Pensi solo al tema delle fratture che non venivano curate: molti uomini a trenta o quarant'anni erano storpi, avevano subito menomazioni, si portavano dietro handicap umilianti».

Rincorriamo la giovinezza?

«Non è che la rincorriamo, rimane con noi molto più a lungo. Prima chi intraprendeva un viaggio a ottant' anni veniva considerato un folle, oggi c'è tutto un florido turismo che copre quella fascia anagrafica. Oggi, per essere chiari, molte persone vanno in pensione non per riposarsi, ma per voltare pagina e iniziare una nuova vita».

Non per tutti è cosi.

«Certo, c'è chi vive il lavoro come una condanna e non vede l'ora di chiudere questa fase, ma se l'occupazione permette di esprimere un briciolo di creatività le cose cambiano. Ci sono molti dirigenti, di imprese pubbliche o private, che mantengono ritmi frenetici a ottant'anni. E ci sono molti avvocati, ma anche falegnami, idraulici che vogliono rimanere in ufficio o in laboratorio a settant'anni suonati».

Non è una forzatura?

«Perché? Di questi tempi è normale andare in palestra o a correre a settant'anni, prima sarebbe stato un insulto, come il mantenere viva l' affettività. Quindi non è contronatura prolungare il proprio impegno lavorativo. Noi pensiamo ancora al vecchio come a una persona che va incupita ai giardinetti e sta sulla panchina...».

Purtroppo li incontriamo tutti i giorni.

«Vero. Ma, almeno in parte, confondiamo il vecchio con il povero.

Non ci accorgiamo del cambiamento avvenuto: i settant'anni permettono un'esistenza simile a quella che si faceva a quaranta. Questa, con tutti i distinguo del caso, è la tendenza. La vita è meno breve, ma è ancora più importante che sia sia allungata la giovinezza biologica».

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