Sette colli di monnezza I romani si turano il naso e si sfogano sui social

La puzza batte perfino la storica pazienza dei cittadini. E il Comune dà una pulita di facciata

Sette colli di monnezza I romani si turano il naso e si sfogano sui social

A Roma l'aroma non è dei migliori. Monnezza ovunque. Tracimata dai cassonetti e scivolata tutto intorno, insidiando i portoni delle case e gli ingressi dei negozi. Insomma la Città eterna vive una nuova crisi dei rifiuti, i romani sospirano affidandosi a una pazienza forgiata da lustri di amministrazioni un po' così, la sindaca Virginia Raggi se la prende con il governatore Nicola Zingaretti, quest'ultimo rinvia al mittente le accuse. Resta sullo sfondo un discreto fetore, una puzza che non va via nemmeno dopo il ritorno in forze dell'esercito dei netturbini per riportare la situazione alla normalità, o a qualcosa che le assomigli.

Lunedì sera la situazione era già al limite, e il passaparola social erogava a getto continuo foto e racconti dell'Urbe sotto assedio della monnezza. Storie esemplari dei paradossi alla capitolina. Per dirne una, all'Appio Latino, lunedì mattina passano finalmente i compattatori a svuotare un po' di cassonetti. Non ci sono gli spazzatori, quindi la tavolozza di bottiglie, sacchetti, organico, latte e lattine sparsa su asfalto e marciapiedi resta dov'è. Con la conseguenza che la situazione invece di migliorare sembra addirittura peggiore di prima, perché gli abitanti del quartiere arrivano, vedono il solito quadro e lanciano il sacchetto nel mucchio, dando per scontato che i cassonetti - da giorni ricoperti da colline di sacchetti di plastica - fossero ancora colmi. Distrazione colpevole ma comprensibile, visto che la pazienza la si coltiva, spesso, alzando gli occhi al cielo per non guardare i soliti problemi terrestri. E poi per produrre un disastro su una scala simile, in grado di accomunare nella stessa immagine di incuria e degrado sia le piazze da cartolina del centro storico che le periferie - dimenticate di default - della capitale, servono sinergie tra amministratori e amministrati. Con questi ultimi che subiscono e di converso non brillano per senso civico. E con i primi che, almeno sul piano dell'immagine (e del consenso) rischiano di più.

E infatti la Raggi, mentre la puzza si spande sui sette colli, prende a scuotere - metaforicamente - il sistema romano di smaltimento dei rifiuti per farlo sbloccare ed evitare di offrire ancora il fianco agli attacchi dei suoi oppositori. Pd in testa, con le «t-shirt gialle» evocate da Renzi pronte a entrare in azione per ripulire le strade di Roma.

Strade che restano sporche (tra l'altro i cassonetti della carta traboccano ancora tutti) e, secondo radio-monnezza, anche molto sporche nei quartieri più lontani dal centro. Dove, invece, da ieri le montagnole di rifiuti sono state rapidamente ridimensionate, infilate sotto il tappeto della ragion di Campidoglio, e che siano finite in discarica o partite per un viaggio all'estero - l'ultima moda dello smaltimento eco-compatibile, l'export della monnezza - conta poco.

Conta, invece, aver offerto una sponda alla sindaca pentastellata, che infatti tira un sospiro di sollievo e su Facebook annuncia la task force «straordinaria» al lavoro e l'apertura h24 degli impianti di smaltimento. Prima di saltare ancora alla gola di Zingaretti e Renzi, forte della «spolverata» assestata al monte-rifiuti in mattinata, attaccando «chi ha permesso che si arrivasse a bloccare il sistema di gestione». Ossia la Regione, che «non ha previsto impianti sufficienti e, addirittura, non autorizza l'incremento della capienza di quelli esistenti», ringhia Virginia.

Che conclude invitando Renzi a scaricare i rifiuti che lui e le «magliette gialle democratiche» raccoglieranno davanti agli uffici del Governatore. Smaltire i rifiuti mandandoli altrove, smaltire le responsabilità scaricandole sugli altri. Il gioco è lo stesso. La puzza pure.

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