Le legavano i polsi e le caviglie e la picchiavano davanti ai fratellini più piccoli (15 e 6 anni), costretti ad assistere alle punizioni.
Il pretesto era sempre quello: voleva vivere "all'Occidentale". Voleva vivere libera, insomma.
La ragazza è nata in Italia da una famiglia tunisina e aveva 17 anni all'epoca dei maltrattamenti. Il suo nome resta coperto. Sono invece scolpiti nella memoria collettiva i nomi delle altre ragazze: Saman, Hina, Sana e tante altre, colpite - a volte fino alla morte - per la stessa "colpa": quella di voler vivere come le coetanee qui in Italia, qui in Occidente. Libere dalla logica retrograda dei clan.
La vicenda di cui oggi si parla è avvenuta a Terracina, in provincia di Latina, dove la polizia ha arrestato la madre della ragazza. Il suo stile di vita era troppo libero secondo la famiglia, che le infliggeva queste violenze per "educarla" e costringerla a conformarsi ai dettami familiari.
La madre, 55 anni, da tempo irreperibile, è stata rintracciata, condannata ed è reclusa nel carcere romano di Rebibbia. Dovrà scontare 4 anni e sei mesi di reclusione (oltre all'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni) per "sequestro di persona commesso ai danni di un discendente", aggravato "dall'età della vittima e dall'aver indotto altri minori a concorrere nel reato", come spiega la polizia.
A far emergere la storia di questa ragazza è stata una telefonata alle forze dell'ordine: una chiamata partita per un presunto furto all'interno di una casa in disuso, dove i poliziotti della squadra volante hanno trovato invece la ragazza, in condizioni fisiche terribili e scappata lì - evidentemente - per sfuggire alla sua famiglia e sottrarsi alle violenze che era costretta a subire dai suoi genitori.
Vista la sua situazione, l'adolescente è stata immediatamente trasferita in un ambiente protetto, dove le è stata garantita assistenza psicologica e adeguate misure di tutela che le hanno permesso di raccontare tutto. Quando è stata trovata, presentava una cicatrice molto visibile sul collo, compatibile con una ferita da arma da taglio e - secondo quanto risulta - provocata dalla madre pochi giorni prima della fuga.
Era lei, infatti, la sua aguzzina, come accertato dalle perquisizioni nella casa della 55enne che hanno consentito di trovare e sequestrare alcuni strumenti riconducibili alle violenze denunciate dalla minorenne. L'analisi del telefono sequestrato alla donna ha inoltre permesso di acquisire alcuni messaggi scambiati con alcuni familiari residenti all'estero, nei quali la donna faceva riferimento alle modalità con cui stava "rieducando" la figlia. Ora la ragazza potrà affrontare un percorso di vita diverso, certo non facile ma diverso.
Il caso ovviamente sta suscitando reazioni anche politiche. "Siamo davanti - ha commentato Anna Maria Cisint, parlamentare della Lega - a un'altra Saman salvata, che - e ne ho viste tante in questi anni - prova a scappare da una gabbia ideologica imposta dai genitori, dagli imam e dalla comunità di appartenenza".
La deputata leghista chiama in causa l'integralismo: "L'islam, nella sua lettura
più radicale - dice - è totalmente incompatibile con la nostra Costituzione e, per questo, deve essere regolato con norme chiare e severe e chi compie atrocità di questo genere deve essere immediatamente rispedito a casa".