Sfida e rischi per il governo che verrà

Sfida e rischi per il governo che verrà

«Uno scenario agghiacciante. Una cosa che non ha eguali in Occidente. Le parole con cui il ministro degli interni Marco Minniti tratteggia l'aggravarsi della minaccia terroristica in Italia, rappresentano un severo monito per il futuro esecutivo. Minniti ha pagato con una personale debacle elettorale, gli errori commessi da compagni di governo e partito prima della sua nomina. Ma nei 15 mesi agli Interni si è battuto per rimediare- grazie anche ad una capillare collaborazione con le forze di sicurezza - a quelle leggerezze. Contrastando l'immigrazione irregolare ha puntato a contenere l'emarginazione ovvero l'humus naturale del terrorismo. Espellendo 161 stranieri punte di lancia del radicalismo islamista ha prevenuto la nascita di cellule proto-terroristiche. Ora il lavoro avviato da Minniti non deve interrompersi. La caduta di Mosul e di Raqqa e la successiva apparente tregua sono stati, come dimostra l'attentato di Carcassonne, una vittoria temporanea quanto ingannevole. Il Vecchio Continente con le sue labili frontiere e la sua diffusa tolleranza è pronto a diventare il nuovo fronte e la nuova tana per reduci e sopravvissuti di quella legione jihadista che ha portato in Siria ed Iraq 30mila combattente stranieri, 5mila dei quali europei. L'Italia in virtù della sua posizione geografica è già oggi il ponte naturale di questo contro esodo. Ma chi verrà dopo Minniti oltre a contrastare l'immigrazione clandestina dovrà contenere anche la cultura dell'odio diffusa da moschee e predicatori già presenti a casa nostra. Il silenzio complice o impaurito delle famiglie dei bimbi educati al terrore dall'imam di Foggia dimostra come il patto con l'Islam, vantato come un successo da Minniti, resti la parte più debole e controversa del suo mandato. Come spiegano molti studi le comunità islamiche scontano la presenza fisiologica di un 30 per cento di fedeli convinti che la legge del Corano, sia più importante di quella dello Stato. L'aggressività di queste minoranze radicali impedisce anche al resto della comunità d'intavolare un rapporto corretto con le autorità. Per questo la vigilanza su moschee, imam, soldi provenienti dall'estero e su forme di finanziamento interni alle comunità più simili al pizzo che non alla carità islamica vanno incrementati isolando e colpendo chi predica l'obbedienza esclusiva alla sharia. Per riuscirci dobbiamo cambiare il nostro approccio all'Islam. L'insensata cultura del politicamente corretto ha diffuso l'idea di un Islam incolpevole di fronte al terrorismo annidato al suo interno. Non è così.

L'Islam è vulnerabile alla violenza perché l'adesione incondizionata ad un testo scritto ed immutabile come il Corano rende più agevole la sottomissione delle sue comunità a chi pratica soprusi e violenze. Se continueremo ad ignorarlo e a cullarci nell'illusione relativista continueremo a non intravvedere la fonte della violenza e dell'odio. E a non difendere chi anche all'interno dell'Islam vuole sbarazzarsene.

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