Joe Biden mobilita l'aviazione civile per evacuare Kabul, ma ammette che «la strada è lunga, e molto può ancora andare storto». Dal fortino della Casa Bianca il presidente Usa torna ad aggiornare gli americani sulla crisi in Afghanistan: una situazione sempre più drammatica soprattutto nello scalo della capitale, per cui la posta in palio è la credibilità di un'America che Biden aveva promesso di riportare al centro della scena mondiale dopo i quattro tumultuosi anni di Donald Trump. Biden ribadisce che l'operazione è «difficile e dolorosa»: «È un dato di fatto, sarebbe stato comunque così e ho il cuore spezzato per le immagini che arrivano da lì». Per il presidente «la priorità assoluta è portare tutti gli americani fuori da Kabul»: «Speriamo di non dover estendere il ritiro» oltre il 31 agosto, ma «ne stiamo parlando», rivela, spiegando che è «in contatto con diversi paesi come l'Italia, la Germania e la Spagna che stanno dando un sostegno vitale all'evacuazione. Li ringrazio». Intanto il Pentagono ha annunciato l'avvio di un programma di emergenza che obbliga le compagnie aeree civili a mettere a disposizione del governo alcuni dei loro velivoli per aiutare le operazioni di sgombero. Il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha richiesto per ora 18 aerei per una-due settimane a sei compagnie Usa: American, Delta, United, Hawaiian, Atlas Air Worldwide, Omni Air Intenational. I velivoli non voleranno sui cieli di Kabul: aiuteranno invece a trasportare negli Usa e in Europa (Germania, Italia, Spagna e altri paesi) le persone evacuate che a bordo di aerei militari arrivano nelle basi americane in Qatar, Bahrain ed Emirati Arabi. Il programma straordinario che attiva la «Civil Reserve Air Fleet» fu creato nel 1952, in piena Guerra Fredda, in seguito al ponte aereo di Berlino del 1948, organizzato dalle potenze occidentali per aiutare i cittadini di Berlino Ovest rimasti isolati dal blocco delle vie di comunicazione messo in atto dall'Unione Sovietica. Solo due volte si è ricorsi a una decisione così estrema: in occasione della prima guerra del Golfo nel 1991 e della guerra in Iraq nel 2002. Ma su Biden continuano a piovere critiche per il modo in cui ha gestito il ritiro delle truppe statunitensi. Durissimo l'attacco sferrato da Trump durante un comizio in Alabama: «Quello che sta accadendo a Kabul è una vergogna per l'America, un'enorme macchia per la reputazione e la storia del nostro paese». «Siamo di fronte a un disastro senza precedenti», ha proseguito l'ex inquilino della Casa Bianca: «Questo non è stato un ritiro, è stata una resa totale, senza motivo. Ha consegnato la nostra base aerea, le nostre armi, la nostra ambasciata». The Donald ha ricordato come dopo 20 anni di conflitto la sua amministrazione ha deciso che era tempo che le truppe statunitensi lasciassero l'Afghanistan, ma che se ne andassero «con dignità». «Con me in carica i talebani non si sarebbero mai sognati di catturare la nostra base aerea o di sfilare con le nostre armi», ha sottolineato ancora Trump, vantandosi poi delle sue relazioni amichevoli con i militanti, «grandi negoziatori e combattenti tenaci». Per il Comandante in Capo, intanto, il rischio è che non solo tra i democratici, ma anche al Pentagono e al dipartimento di Stato qualcuno cominci a prendere le distanze dalla Casa Bianca.
Il campanello di allarme sono state ad esempio le parole del segretario alla Difesa Austin, il quale ha di fatto smentito il presidente secondo cui non ci sarebbero stati americani bloccati sulla via di fuga e malmenati: «Alcuni sono stati picchiati, è inaccettabile», avrebbe detto a un gruppo di membri del Congresso. Mentre dal Vecchio Continente, l'ex premier britannico Tony Blair ha affermato che «l'abbandono dell'Afghanistan e del suo popolo è tragico, pericoloso e inutile, non è né nel loro interesse, né nel nostro».
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