Si muore come schiavi Tutti sanno, nessuno parla (sindacati e preti inclusi)

Crepare di fatica non merita l'intervento né delle confederazioni né dei carabinieri né della magistratura né del clero distratto dalle prediche delle sue elevate gerarchie

Si muore come schiavi Tutti sanno, nessuno parla (sindacati e preti inclusi)

In Italia è così: finché non ci scappa il morto, nessuno si muove. Adesso una donna ha perso la vita nei campi, uccisa dalla fatica e dai raggi cocenti del sole, allora per un paio di settimane si indaga, si accerta, si aprono inchieste, si cercano responsabilità. Poi basta. La vittima è una donna di 49 anni, Paola Clemente, bracciante agricola soggetta ai cosiddetti caporali (reclutatori di manodopera a tariffe stracciate), stroncata da un malore mentre sgobbava come una schiava: retribuzione, 2-3 euro l'ora. Le sue mansioni erano le stesse di tanti altri diseredati che per campare sopportano sacrifici disumani: raccogliere frutta dall'alba al tramonto, sfidando temperature equatoriali. Poca acqua e tanto sudore al punto da lasciarci le penne: mancanza di sali nell'organismo, per integrare i quali sarebbe stata sufficiente una bustina di Polase, che però non viene somministrato (né vi è alcuno che ne imponga l'assunzione).

È un miracolo che finora sia andata al Creatore soltanto Paola. Numerose, però, sono le persone candidate a subire la medesima sorte. Già. Nell'era delle tecnologie avanzate, l'agricoltura in Puglia, e non solo in Puglia, non è cambiata rispetto agli anni Cinquanta, quando i braccianti crepavano come mosche per una manciata di spiccioli, compenso misero elargito dal padrone del feudo in cambio di lavoro massacrante in campagna, nelle masserie e nelle vigne. Leggere Francesco Jovine, autore della Signora Ava e Le terre del Sacramento , per citarne due opere, allo scopo di saperne di più.

Ora ci occupiamo di Paola Clemente perché ha tirato le cuoia, ma, come costei, in varie zone del Mezzogiorno sono numerosi le donne e gli uomini che si piegano all'avidità del caporalato. Lo fanno per sopravvivere, non certo per amore della zolla. Si alzano in piena notte, alle 3, si vestono in qualche modo, salgono sul pullman messo a disposizione dai negrieri, viaggiano assonnati un paio d'ore, anche di più, e raggiungono il luogo in cui sono richieste le loro braccia. Un compito duro, riempire ceste e ceste di prodotti raccattati su campi che non conoscono l'ombra, ore e ore di attività senza soste, vietato rifocillarsi. All'imbrunire, la schiera degli sfruttati risale sulla corriera che li riporta al paesello. Una cena frugale, un breve riposo, e l'indomani si ricomincia. Il tutto per una paga mensile che non supera 600 euro, da cui bisogna detrarre la spesa delle quotidiane trasferte, soldi da versare al caporale che agisce allo scoperto, sicuro che nessuno lo fermerà anche se è fuori legge, anche se è noto che delinque.

Ecco cosa stupisce e indigna: non c'è anima che combatta lo schiavismo, che tenti di stroncarlo assicurando alla giustizia coloro che lo praticano senza freni e senza pudore. Paola abitava nei dintorni di Bari, che non è in Nigeria, ciò nonostante manco un cane si è interessato alla sua condizione di schiava antica in questo mondo moderno che vanta un welfare protettivo per chi non ne ha bisogno e trascura i poveracci, quelli che si spaccano giovani la schiena per non morire giovanissimi di fame.

Tragedie di questo tipo avvengono all'insaputa dei media e nell'indifferenza generale. Recentemente, a dire il vero, la Rai ha dedicato un servizio ai derelitti di Puglia obbligati a sottostare alle regole bieche dei caporali e di chi li manovra (padroni crudeli e spietati), ma è andato in onda in terza serata, quando la maggioranza di noi borghesucci dormiva della grossa. Cosicché la fine di Paola è passata di fatto sotto silenzio, liquidata in poche righe, anche dai giornali.

Una connazionale che crepa di stenti per sostentare la famiglia non fa notizia per i mezzi di comunicazione, per i sindacati (che se ne impipano degli ultimi) e neppure per i preti, non dico i cardinali, ma nemmeno i parroci e i curati. Lo stesso Papa si preoccupa degli immigrati e dei profughi e sorvola sugli italiani spremuti e gettati al cimitero come rifiuti solidi. Se la signora Clemente fosse stata, anziché una barese del contado, una siriana, una libanese o un'africana, il Paese si sarebbe commosso, avrebbe gridato all'iniquità sociale, alla mancanza di solidarietà. Ma per sua disgrazia era una terrona miserabile e disgraziata. Cosa vuoi che importi alla Cgil e alla Cisl di una donna priva di tessera, che non sciopera, non conta niente, che vale zero nelle quotazioni politiche?

Crepare di fatica non merita l'intervento né delle

confederazioni né dei carabinieri né della magistratura né del clero distratto dalle prediche delle sue elevate gerarchie. Paola non c'è più. Non hanno applaudito al suo funerale. Le sia almeno lieve la terra su cui ha sudato sangue.

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