Nel mare agitato della politica italiana, i sonar non riescono a identificare gli oggetti più sfuggenti. In compenso sono stati tarati per rilevare a colpo sicuro ciò che occorre alla propaganda elettorale radical chic: il populista.
E parte la litania: Berlusconi è populista, Salvini è populista, la Meloni è populista, Del Debbio e Giletti fanno programmi populisti in tv. Persino a sinistra vengono i sudori freddi dinanzi agli slanci pop di Matteo Renzi che ha sempre anteposto gli show personalistici agli antichi riti dei comitati centrali e delle assemblee programmatiche. Per la sinistra ex comunista il massimo della comunicazione agli italiani sono le dolenti analisi di un Gianni Cuperlo alla direzione nazionale, con faccia sofferta e il badge plastificato al collo.
Nelle visioni delle élite tecnocratiche, che considerano l'elettore una variabile accessoria, il messaggio politico va veicolato soltanto nei canali istituzionali. Meglio se qualche inutile vertice intergovernativo o uno scenografico bilaterale tra capi di Stato tutto palco, bandiere e traduzione simultanea. Almeno sei su dieci finiscono sempre con la proposta di un Piano Marshall da applicare immancabilmente all'emergenza del momento. Ah, volete mettere poi un illuminato editoriale su qualche giornale notoriamente filoprogressista, scritto con la modesta ambizione di plasmare le masse come il pongo.
Ma sarà così d'accordo la ggente, quella che la sinistra buonista post veltroniana evoca sempre e non rispetta mai? La gente è incavolata, noi tutti siamo incavolati. Basta ascoltare qualsiasi programma radiofonico del mattino che dà voce agli ascoltatori. L'altra mattina su RadioRai una donna sintetizzava così il calo delle nascite in Italia: un bambino che nasce stamattina comincerà a lavorare tra quarant'anni e a malapena prenderà la pensione a ottanta. È populista anche lei? Dobbiamo liquidarla con un'alzata di spalle solo perché non ha studiato a Cambridge o non sedeva in prima fila alla Leopolda tra gli yuppies di ritorno alla ricerca di un seggio in Parlamento?
Lasciamo perdere per un attimo i cittadini schierati politicamente che nutrono opinioni forti e le esprimono in tutte le sedi. Ognuno di noi parla ogni giorno con un ampio spettro di persone comuni, segue accanite dispute sui social, si sorbisce in televisione la solita intervista ai passanti o tramite citofono. Intanto i problemi si accumulano: il degrado urbano, la paura di attraversare un piazzale monopolizzato da brutti ceffi, l'immigrazione fuori controllo, il lavoro che manca, gli stipendi che non crescono. Siamo tutti sulla stessa barca. Persino il collega che ha titolato il pezzo relativo alle cartelle pazze Inps sulle colf, ha scoperto di essere uno delle migliaia di contribuenti perseguitati da ingiunzioni per somme non dovute.
Non occorre scomodare le dottrine liberali per rimarcare come in questa fase di incertezza, le sofferenze quotidiane riguardano più il singolo che le decantate masse. Per una persona in difficoltà economica, alla fine del mese, la bolletta energetica preoccupa più della pettinatura di Trump.
Il popolo ha voglia di votare, di scegliere, di punire i gradassi, di dare fiducia a chi può rappresentare al meglio le proprie istanze.
Saranno elezioni all'insegna del populismo, ma una volta tanto quello degli elettori. E chi guarda con disprezzo battaglie identitarie contro lo ius soli e il buonismo filo islamico, sarà già pronto a dipingere un Paese consapevole come una genìa di zotici plagiati dai Del Debbio e dai Giletti.
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