Ponte crollato a Genova

Siamo tutti sopravvissuti

Siamo tutti  sopravvissuti

Quando pensiamo all'11 settembre del 2001 ricordiamo tutti perfettamente dove eravamo e cosa stavamo facendo mentre scorrevano sul video le sconvolgenti immagini degli aerei che si infilavano nelle torri gemelle. Eppure, nonostante la portata della tragedia, tutti noi l'abbiamo vissuta come distante. Ci ha sconvolto, ma in fondo non ci ha toccato direttamente. Eravamo spettatori lontani, quasi fosse un film. Il 14 agosto di dodici mesi fa il crollo di Ponte Morandi ci ha portato in un'altra dimensione. Perché su quel maledetto ponte poteva esserci chiunque di noi. La tragedia è stata enorme, 43 persone non ci sono più e niente potrà cambiare ciò che è stato. Ma quello che ha tolto il sonno a tutti i genovesi e ai tanti «foresti», come vengono chiamati sotto la Lanterna, che da Genova passavano percorrendo il Morandi, è la consapevolezza di sentirsi in qualche modo dei sopravvissuti. Graziati. Miracolati.

Mille volte o forse più ho attraversato quel ponte. Mille volte o forse più ci è passato qualunque genovese. Quel ponte faceva parte della città e faceva parte di ciascuno di noi. Era scontato. Era un'abitudine. Non era un vero tratto di autostrada, era semplicemente «la strada», quella che portava verso Ponente e che da Ponente portava verso il centro, unendo la città e le persone. È vero, passando lì sopra si avvertiva un senso di instabilità, si sentivano vibrazioni, si traballava un po'. Ma ci si passava, sempre. Magari con un po' di ansia, specie quando si formavano code chilometriche, proprio d'estate per gli accessi al terminal traghetti, proprio come in quei giorni di agosto di dodici mesi fa. Non il 14 solo per puro caso. Che ne sapevamo noi di stralli, pile, corrosione, forza del cemento armato. Si passava di lì perché era «la strada», quella. Era nostra. Era Genova.

Il genovese ha un modo tutto suo di vivere i sentimenti. Personale, intimo, profondo. Non dimentica e sopporta le passerelle di politici a caccia di visibilità solo perché sa che sono inevitabili. Come inevitabile è quel senso di smarrimento, le gambe che tremano, l'incredulità ripensando a quel momento che tutto ha cambiato. Il nostro 11 settembre, ancora più intenso e forte perché davvero nostro. Perché lì sopra potevo esserci io. Noi. Chiunque. Ma il genovese è anche concreto. Vuole i fatti. Vuole un nuovo ponte. Vuole certezze e giustizia, non processi sommari. E vuole, per quanto possibile, andare avanti.

Ma dimenticare no, quello mai.

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