È la Sicilia il regno dove le coop rosse lucrano sui migranti

Il caso di Siracusa dove il business dei centri è finito nel mirino dei pm

È la Sicilia il regno dove le coop rosse lucrano sui migranti

Siracusa - C'è posto per tutti nel grande affare dell'assistenza agli immigrati clandestini. Gli appalti non si fanno, gli affidamenti sono quasi tutti fiduciari, la qualità del servizio offerto passa in secondo piano davanti all'emergenza. I migranti fruttano più della cocaina, insegnava Salvatore Buzzi, il re delle coop rosse di Roma che sapeva bene come muoversi in questa «terra di mezzo». Per lui la Sicilia orientale doveva diventare un centro di smistamento verso le coop «amiche».

Ramzi Harrabi vive da oltre 10 anni a Siracusa, è presidente della Consulta degli immigrati cittadini: «L'emergenza è come qualsiasi calamità naturale, richiede risultati immediati. C'è chi fa il volontario per iniziativa personale e chi sa di poter contare sul politico di turno per avere fondi. Non c'è vera rendicontazione, tutto si svolge nell'improvvisazione».

Siracusa ne è un esempio. La città è stata pressoché ignorata dagli sbarchi fino a quando è esplosa l'emergenza Nordafrica del 2011 e poi è stata travolta dall'operazione Mare Nostrum: le navi della Marina avevano come base il vicino porto militare di Augusta. Decine di migliaia di disperati dovevano essere assistiti. I centri di accoglienza sono stati aperti in tutta fretta. Coop sociali di ogni colore si sono buttate sul business: c'è l'accoglienza temporanea e quella prolungata per quanti richiedono asilo politico, bisogna assistere i minori non accompagnati, curare, sfamare, identificare. Lavoro e denaro garantito.

Alle porte della città, nel territorio comunale di Melilli in contrada Spalla, è stato aperto uno Sprar, centro di accoglienza per richiedenti asilo in un complesso di villette a schiera tra un albergo e un outlet commerciale in decadenza. Gli ospiti, per lo più pakistani, vogliono restare e non dovrebbero dare problemi. Eppure la scorsa estate hanno manifestato a lungo per la cattiva assistenza. Si lamentavano del cibo, del sovraffollamento, delle condizioni igieniche e del fatto che non gli veniva versato il «pocket money», la diaria in contanti di 2,5 euro il giorno con cui comprare sigarette e schede telefoniche. I responsabili hanno scaricato le responsabilità sul ritardo nel ricevere i soldi pubblici. L'assessore ai Servizi sociali di Siracusa, Liddo Schiavo, a sua volta ha scaricato sul governo. Nessuna solidarietà dai siracusani: «Migliaia di nostri concittadini vorrebbero un tetto, vestiti e cibo che garantiamo ai migranti con un aggravio sul bilancio comunale ormai insostenibile».

A differenza dei centri di emergenza dei quali si occupano le prefetture, la competenza degli Sprar è stata fino a poche settimane fa dei comuni. Quello di contrada Spalla è gestito dalle amministrazioni di Siracusa e Melilli (il cui sindaco è sospeso perché condannato per abuso d'ufficio) e affidato alla coop Luoghi comuni di Acireale (Catania), legata a un grosso consorzio siciliano di coop sociali «bianche», Connecting People. «L'abbiamo scelto perché offriva capienza e solidità economica», dice Schiavo.

Poche settimane dopo le proteste allo Sprar di Melilli, il consorzio Luoghi comuni ha vinto l'appalto per la gestione del centro di primo soccorso di Pozzallo (Ragusa). E il consorzio Connecting People è sotto processo al tribunale di Gorizia per la gestione del Cara di Gradisca d'Isonzo con accuse di associazione per delinquere, truffa e frode in pubbliche forniture, per le quali la coop si proclama innocente.

In tutta la regione sono spuntate dal nulla 350 strutture di accoglienza: ad Agrigento ce n'è uno gestito da un gruppo folcloristico, «Sicilia bedda». Realtà che si espandono, come il Connecting People che controlla centri dal Friuli alla Puglia, dal Piemonte alla Campania. A Siracusa ha sede il consorzio Oasi che gestisce il Cie di Bologna grazie a un'offerta di 28,5 euro giornalieri a ospite, un super-ribasso. Un'interrogazione parlamentare dell'onorevole Carlo Giovanardi rivela che Oasi «è stato costituito il 22 dicembre 2011 da tre soci fra cui il signor Marco Bianca, socio della cooperativa Alma Mater che aveva ottenuto dalla prefettura di Siracusa a trattativa privata un finanziamento di 438.000 euro per il centro immigrati di Cassibile». Centro chiuso e finito in un'inchiesta giudiziaria (poi archiviata) per la cattiva gestione. Oasi ha vinto l'appalto del Cie di Trapani (6 milioni e mezzo per tre anni più Iva) soffiandolo a Connecting People.

Che a sua volta ha strappato alle coop rosse di Salvatore Buzzi per via giudiziaria la gestione del centro romano di Castelnuovo di Porto. In Sicilia funziona così: nel business dell'immigrazione si trova sempre da lavorare.

(3. Fine)

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