Siena scorda il «crac» di Mps: Padoan in vantaggio

Nel collegio toscano il ministro davanti al leghista Borghi. Ma scricchiola l'ex impero rosso

Stefano Zurlo

nostro inviato a Siena

Nel vicolo in cui precipitò il 6 marzo 2013 c'è ancora uno: striscione: «Verità per David Rossi». È l'unico segno che rimanda alla crisi infinita di quella che era la terza banca italiana, in una giornata cupa, con pochi turisti, e una pioggia gelida a spruzzare la sera. Il Monte dei Paschi, le sue convulsioni, i suoi misteri, come la morte indecifrabile del responsabile comunicazione dell'istituto. «Siena non ha il Monte, è il Monte», se ne uscì un giorno Indro Montanelli e le elezioni servono per capire se lo sconquasso degli ultimi anni abbia fatto colare a picco un sistema di potere che pareva eterno.

Un disastro. Alla fine il Pd, per circoscrivere l'incendio, ha deciso di buttare nella mischia dell'uninominale il ministro Pier Carlo Padoan. Nientemeno. Il centrodestra ha risposto schierando per Montecitorio il responsabile economico della Lega Claudio Borghi. E così un duello di provincia dagli esiti scontati si è trasformato in una seduta di psicoanalisi sui mali d'Italia, sul dissesto del suo sistema bancario, sulle angosce di migliaia di correntisti. «Io - spiega al Giornale Borghi - volevo correre al Senato, perché il collegio metteva insieme Siena e Arezzo. Insomma, l'elettore doveva pesare sulla scheda due disastri in un colpo solo: Mps e Etruria». Una suggestione straordinaria. «Però - riprende Borghi - poi ho visto che c'era Padoan alla Camera e allora ho lanciato la sfida, spostandomi a Montecitorio». Sfida a distanza, perché Padoan ha evitato scientificamente ogni confronto diretto. «Ci siamo incrociati in Confindustria - riprende Borghi - ma prima ho parlato io, poi lui». Divisi. Sempre rigorosamente separati.

Il punto è stabilire quanto le difficoltà del «babbo Monte», come qui tutti chiamavano Mps, abbiano inciso sugli equilibri di un sistema di potere mai scalfito in settant'anni.

L'egemonia rossa al tramonto? «Certo, i bilanci sono sempre in rosso e le ricapitalizzazioni non hanno avuto l'effetto sperato ma lo Stato ha fatto la sua parte - spiega Roberto Barzanti, storico sindaco comunista dal 1969 al 1974, poi eurodeputato e vicepresidente del Parlamento europeo - Il salvataggio va avanti a fatica. Fra mille difficoltà, ma la strada è quella giusta». Con il Tesoro in maggioranza, vicino al 70 per cento del capitale, ma pronto a sloggiare alla prima occasione. «Padoan - aggiunge Barzanti - ha spiegato che la permanenza durerà finché necessario, io confido che appena sarà possibile il Tesoro farà un passo indietro». Sarà, ma i conti non tornano. Il Tesoro per la cosiddetta ricapitalizzazione preventiva ha pagato le azioni 6,49 euro; poi a fine ottobre la Borsa ha fissato un prezzo teorico di 4,28 euro per azione, dopo dieci mesi di sospensione del titolo, ora siamo a 3,2. Sprofondo rosso.

«Da me conclude Borghi - sono venute tantissime persone che hanno fatto più o meno lo stesso discorso: «Basta, con il Pd abbiamo chiuso, questa volta si vota Lega». Scricchiolii in un impero che non ha mai vacillato. Con un terzo incomodo alla finestra: i Cinque stelle. «Ma qui - nota Barzanti - i grillini non hanno mai messo radici. E l'opposizione oggi a Siena ha la sua voce più rappresentativa in Borghi».

E poi il candidato pentastellato alla Camera, Leonardo Franci, è stato smascherato proprio da Borghi che ha scoperchiato il suo passato leghista. Fibrillazioni locali e tendenze nazionali. I Cinque stelle hanno messo il turbo. Ma l'orfana Siena potrebbe fare storia a sé.

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