È un silenzio assordante quello dell'ex ad di Unicredit, Federico Ghizzoni, che «preferisce al momento non rilasciare alcuna dichiarazione», riportava ieri l'agenzia Agi citando fonti a lui vicine. Chi tace, di solito però acconsente. E in questo caso confermerebbe il colloquio sull'Etruria con Maria Elena Boschi riportato da Ferruccio de Bortoli nel suo libro.
Ghizzoni può anche non essere la fonte diretta di de Bortoli, che ieri si è limitato a parlare di «fonti vicine a Unicredit», ma può comunque svelare l'arcano. Invece non lo fa. E lascia la patata bollente al gruppo milanese che ha guidato dal 2010 a fine maggio 2016. L'unico commento filtrato da Piazza Gae Aulenti è - e resterà, assicurano fonti vicine a Unicredit - che l'istituto «non ha subito pressioni politiche per l'esame di dossier bancari», compreso quello della Popolare aretina. Smentito il pressing, dunque, ma non il contatto. Del resto, le nozze con l'Etruria non sono state mai consumate: Unicredit ha aperto il dossier e poi l'ha chiuso. Anche perché nel 2015, anno in cui secondo de Bortoli sarebbe avvenuto l'incontro fra Ghizzoni e la Boschi, non avrebbe avuto alcuna logica fare un'operazione del genere. Né strategica né finanziaria visto che già nell'agosto di quell'anno spuntano le prime avvisaglie sulla necessità di rafforzare la tenuta patrimoniale: il Financial Times rilancia indiscrezioni su una possibile richiesta di ricapitalizzazione di Unicredit da parte della autorità di vigilanza. Aumento che sarà poi di 13 miliardi e verrà concluso nel febbraio scorso dal nuovo ad Jean Pierre Mustier.
De Bortoli non svela la data esatta del presunto incontro fra il banchiere e l'allora ministro. Eppure si tratta di un dettaglio rilevante perché l'11 febbraio 2015 l'Etruria viene commissariata dal Tesoro su proposta di Bankitalia («Smetteranno di dire che ci sono privilegi? Dura lex, sed lex», cinguettò su Twitter la Boschi quella sera). Il colloquio c'è stato prima o dopo? Se fosse successo prima la mossa della Boschi sarebbe assai più grave. Di certo, il 22 novembre il governo ha varato il decreto legge per la risoluzione di Etruria, CariChieti, Carife e Banca Marche che potranno continuare ad operare grazie a 3,6 miliardi a carico del sistema bancario, verranno liberate dai crediti in sofferenza, aggiungeranno il prefisso «nuovo» al proprio nome e verranno traghettate verso la cessione. Il compito di vendere le quattro cosiddette good bank viene affidato da Tesoro e Bankitalia a Roberto Nicastro, fino a cinquanta giorni prima direttore generale di Unicredit.
Sulle rivelazioni di Ferruccio de Bortoli vanno però fatte anche altre due considerazioni. La prima, ricordando che l'ex direttore del Corriere della Sera nell'ottobre 2016 era stato costretto a scusarsi pubblicamente con Marco Carrai, amico fraterno di Renzi, per un articolo sulle operazioni in corso sul salvataggio di Mps riferendo che l'allora ad Fabrizio Viola aveva appreso della sua sostituzione da un sms scrittogli proprio da Carrai. «L'errore è mio. Da una verifica con il destinatario, l'sms di Carrai risulta inviato dopo la telefonata del ministro del Tesoro, Padoan», aveva scritto de Bortoli su Facebook evitando la querela. Ieri, invece, sull'incontro Boschi-Ghizzoni ha confermato tutto. Va, infine, ricordato che de Bortoli non è del tutto «asettico» rispetto ai poteri forti. È sempre stato sostenuto da Giovanni Bazoli, il presidente emerito di Intesa Sanpaolo che ha mantenuto la promessa fatta tanti anni fa a Gianni Agnelli di salvare Rcs mettendola nelle mani di Umberto Cairo. E che ha ancora voce in capitolo nel sistema bancario insieme all'amico Giuseppe Guzzetti, patron delle fondazioni e regista del fondo Atlante che sta gestendo lo smaltimento delle sofferenze.
Se, come sosteneva il filosofo Marshall McLuhan, in comunicazione «il mezzo è il messaggio», quello lanciato a Renzi e al Giglio magico dai grandi vecchi della finanza attraverso la penna di de Bortoli sembra chiaro: «Giù le mani dalle banche, qui comandiamo noi e siamo stanchi di rimediare ai vostri guai».
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