La sinistra di sinistra, liberata dall'ingombro di un cervello ideologico, corre come un pollo decapitato intorno all'idea che non si debba decidere chi sarà il leader, perché altrimenti farebbe il gioco di Renzi che farebbe il gioco di Berlusconi.
L'ossessione della sinistra è sempre Berlusconi. E dopo il ritorno venerdì sera in grande potenza del leader di Forza Italia in televisione, l'ossessione è diventata isteria perché ancora una volta è apparso evidente (troppo evidente) che quel leader dimostra la prevalenza della leadership e che la leadership chi non ce l'ha non se la può dare. Non avendo nelle sue file un solo leader ma solo imitatori e comici come Bersani, la sinistra fa finta che la scelta finale derivi dall'inutile dibattito sugli eterni «problemi del Paese». Il mondo democratico ha da oltre mezzo secolo dimostrato che la politica si fa dal tetto delle idee e non dalle catacombe del passato, proprio perché in ogni grande Paese si parte sempre dal leader e dal torneo fra aspiranti leader.
Ma questa verità fa impazzire la sinistra perché teme che la leadership di Berlusconi faccia crescere, per imitazione, Matteo Renzi, emulo-competitor del leader di Forza Italia, cresciuto in un ecosistema berlusconiano, dipinto, senza averne colpa né statura, come un «piccolo Berlusconi» o «il prossimo Berlusconi».
Ciò spiega anche perché sia inevitabile che Renzi tenda oggi disperatamente la mano a Berlusconi, mentre a sinistra l'unica strategia ammessa resta quella dello stato tribale: passaggi da una banda all'altra e ritorno, spacciando questa regressione all'età della pietra come un sopraffino servizio reso alla democrazia. In cima alla catena alimentare-fallimentare, vivacchia un noiosissimo circo mediatico che ci ammorba ogni giorno su ogni canale con le ultime notizie sulle evoluzioni vorticose del pollo senza testa.
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