Guerra in Ucraina

La sinistra si polverizza. Cisl si sfila dalla piazza

Letta cerca di tener buoni gli ultras anti-Nato. E Sbarra: "Non aderiamo al corteo di domani"

La sinistra si polverizza. Cisl si sfila dalla piazza

Il fianco sinistro del Pd si agita e soffre. La scelta di Enrico Letta di appoggiare con fermezza la svolta europea e il sì all'invio di armi all'Ucraina devastata da Putin crea coliche nella (evanescente) galassia «pacifista» che non ha mai superato la propria avversione per la Nato e per gli Usa: Cgil e Anpi, cattolici di sinistra e movimenti vari, grillini e Leu. E così anche il segretario dem è costretto a rassicurare, smussare, sventolare bandiere arcobaleno e provare a tener buoni quelli che, come tuona Pierluigi Bersani, intimano alla Ue di levarsi «l'elmetto».

L'ex aspirante premier e segretario Pd, oggi esponente di Leu, lo dice in una intervista a Repubblica: «Non mi sta bene questa Unione europea solo con l'elmetto». Dovrebbe invece «spingere per il cessate il fuoco e per il negoziato, ma questa voce non la sento». Ora, Leu conta quanto il due di picche nella maggioranza di governo, e Bersani non ha esattamente un seguito di popolo da rockstar. Ma è un segnale che pesa nel Pd come nell'elettorato della sinistra imbesuito da anni di «pacifismo» anti-occidentale, insieme alle pressioni che arrivano dalla Cgil e da tutte le micro-formazioni, associazioni e esponenti del pacifismo cattolico che Letta vorrebbe tener dentro il suo «campo largo», come Delrio o Riccardi, il fondatore di Sant'Egidio candidato di bandiera di Pd e M5s al Colle. Ecco perché, dopo aver omaggiato di una visita l'Anpi, ieri Letta è volato a Bruxelles e da lì ha provato a fare un controncanto pacifista alla linea atlantista e di totale appoggio alle iniziative pro-Ucraina del governo sostenuta due giorni prima in Parlamento: «È fondamentale continuare a tenere i rapporti con Putin e obbligarlo al cessate il fuoco, questo non può che arrivare dal dialogo con le autorità russe». Per concludere, con tocco salviniano: «Si ascolti l'appello del Papa». Parlava da Bruxelles ma si rivolgeva alla pancia piena di borborigmi del pacifismo italico.

Intanto, a Roma, il fronte della «pace», che domani vuol scendere in piazza con gli arcobaleni, si spaccava: la Cisl, che aveva inizialmente aderito con i sindacati confederali, prende le distanze da una piattaforma che Cgil e sinistra trascinano verso il pilatismo più classico. In una nota interna, il segretario Luigi Sbarra scrive: «La testimonianza da sola, al punto in cui siamo, non può bastare. Tanto più se rischia di essere inquinata da pesanti pregiudizi e derive ideologiche che sottintendono una sostanziale equidistanza tra le parti in guerra, allontanandoci dallo spirito della manifestazione del 5 marzo». Racconta il «lungo confronto» con le associazioni della Rete della pace e del disarmo, di «innumerevoli tentativi di modificare una piattaforma irricevibile», spiega che «non possiamo certo riconoscerci in parole d'ordine come neutralità attiva» e conclude: «Ci vediamo nostro malgrado costretti a non procedere ad una adesione formale della Cisl» al corteo. Uno strappo pesante, come l'accusa implicita ai promotori di non volere o non potere condannare sul serio il regime di Putin.

E una nuova grana da governare nel «campo largo» del Pd, che alla manifestazione guardava con occhio benevolo.

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