Siti, chat, app, centri per i dati: è la prima guerra mondiale web

Pagine oscurate, censure, blitz sulla rete: tra Barcellona e Madrid il conflitto è anche virtuale. E Assange si schiera

Massimo M. Veronese

Si diverte con il risiko. Julian Assange da cinque anni vive come Napoleone all'isola di Sant'Elena, recluso in un paio di stanzette dell'ambasciata ecuadoregna di Londra, un edificio dalle mura in mattoni rossi e stucchi bianchi sulla Hans Crescent. A due isolati da lì, ci sono i magazzini Harrods di Knightsbridge, lo shopping del lusso, trecento reparti distribuiti su sette piani, il rumore della folla appena fuori dalla porta. E lui lì, triste e solitario, con i suoi libri, il computer sempre acceso, la sorveglianza che non lo molla un minuto. Forse per questo l'uomo che non può parlare con nessuno parla in continuazione di tutto. L'ultima volta se l'era presa con Google per aver licenziato un ingegnere colpevole di commenti sessisti. Settimana scorsa invece Julian il perseguitato, che è sotto indagine negli Stati Uniti per aver rivelato oltre 700mila «cable» segreti della Casa Bianca sulle guerre in Afghanistan e in Iraq, sui report delle ambasciate americane e sulle schede dei detenuti di Guantanamo, si sarebbe offerto a Trump, millantando prove che scagionerebbero la Russia dall'accusa di essere l'hacker delle mail di Hillary Clinton, quelle che hanno deciso sul filo la corsa presidenziale. In cambio, obviously, della grazia o di qualcosa che le somigli moltissimo.

Ieri invece, lui che è stato definito «un comandante ribelle sotto assedio», nelle sue visioni claustrofobiche ha trovato che la diatriba indipendenista tra Barcellona e Madrid sia addirittura l'esplosione della «prima guerra mondiale via internet». Non potendo reprimere la rivolta nel sangue come ai tempi di Filippo V di Borbone il governo centrale, la sua tesi, soffoca i byte, nuove bandiere di libertà e autonomia. «La prima guerra mondiale via Internet è cominciata in Catalogna, dal momento che il popolo e il governo lo usano per organizzare il referendum di domenica. Mentre l'intelligence spagnola blocca i link, occupa gli edifici di telecomunicazioni, censura migliaia di siti web» il sermone di Assange su Twitter. La guerra reale che si fa virtuale e il virtuale che trasforma la realtà fino a sostituirla: «Quello che sta succedendo in Catalogna - insiste evidentemente infervorato dal risiko telematico - è il più significativo conflitto in Occidente tra il popolo e lo Stato dalla caduta del Muro di Berlino. Ma i suoi metodi sono quelli del 2017: da server, reti Vpn, chat criptate, fino alla sorveglianza e alla censura su internet e alla propaganda a colpi di bot». Spiega il giornalista australiano, come del resto è nei fatti, che il governo catalano, e i suoi cittadini stanno utilizzando la rete come testa di ponte del referendum e come Madrid, con l'azione dei servizi di intelligence, stia bloccando il web e le comunicazioni «nemiche». Vero. La Guardia civil ha chiuso 140 siti web indipendentisti, poi ha blindato quello ufficiale del referendum (e la Generalitat lo ha riaperto) e alla fine è entrata, per farla finita una volta per tutte, nel Centro di telecomunicazioni e informazione della Generalitat per spegnere tutto. E un giudice ha ordinato la chiusura del sito catalano sul voto elettronico per evitare che possa essere usato come alternativa dal voto nei seggi. Inutile aggiungere che Assange sta con i ribelli.

E si gode il risiko: «Ai nostri sostenitori e agli esperti di tecnologia, ovunque si trovino, aiutateci ad aggirare la censura della Guardia Civil e dell'intelligence spagnola». La tragedia della guerra è che usa gli uomini migliori per farne i peggiori. Anche sul virtuale.

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