Liberi tutti. A neanche una settimana dal ritrovamento del cadavere del 27enne reporter Jan Kuciak e della sua fidanzata Martina Kusnirova le indagini sul duplice assassinio sembrano pronte a sprofondare nei pantani del sistema giuridico slovacco. I sette italiani arrestati perché sospettati di legami con le 'ndrine calabresi - Antonino Vadalà 42 anni, suo fratello Bruno, 40 anni, il 45enne parente Sebastiano Vadalà, Diego Rodà, 62 anni, Antonio Rodà, 58 anni, Pietro Rodà, 54 anni, e Pietro Catroppa, di 26 sono già a piede libero. I magistrati e la polizia di Bratislava non sono riusciti a mettere insieme, come vuole la legge, un capo d'accusa nelle 48 ore successive l'arresto ed hanno dovuto ordinarne l'immediata scarcerazione.
«Durante il termine legale delle 48 ore la polizia ha controllato e verificato i fatti indispensabili per una messa sotto accusa - ha spiegato la portavoce della polizia Denisa Baloghova - ma scaduti termini le persone sono state rilasciate». Il dietrofront investigativo rischia di regalare nuovi argomenti a chi sospetta l'esistenza di torbidi legami tra le attività della ndrangheta in Slovacchia e l'entourage politico del premier Robert Fico. Per capirlo basta leggere la bozza dell'articolo che il povero Kuciack stava terminando prima di venir messo a tacere dai suoi assassini. Nell'articolo, rimasto incompiuto, vengono citati quasi tutti i nomi dei sette italiani fermati e rapidamente rilasciati dalla polizia di Bratislava. «(...) Antonino Vadalà - scriveva Kuciak - compare in numerose sentenze dei tribunali slovacchi, che provano che egli ricevette soldi dall'Italia. (...) I soldi gli furono dati in contanti perché così li pretese (...). Nel 2017 i nomi di parenti di Antonino Vadalà sono comparsi in un mandato d'arresto per 18 affiliati accusati del contrabbando di centinaia di chilogrammi di cocaina in Europa per conto della 'ndrangheta». Diego e Antonio Rodà sono citati in quanto fratelli di quel Pietro Rodà «coinvolto scrive il reporter - nel riciclaggio di denaro sporco per la sezione dell'ndrangheta denominata El Dorado». Leggendo quell'articolo s'intuisce che il giovane ma intraprendente Kuciak aveva accesso a dossier investigativi preparati grazie a informazioni ricevute dall'Italia.
Ma su questo punto la polizia e i giudici di Bratislava fanno orecchie da mercante. Lo si capisce dalla clamorosa smentita con cui il capo della polizia slovacca Tibor Gaspar ha negato ieri di aver ricevuto dall'Italia segnalazioni o suggerimenti sull'attività della 'ndrangheta nell'Est della Slovacchia. Le dichiarazioni di Gaspar sembrano rivolte a contraddire apertamente Gaetano Pace, il procuratore facente funzioni di Reggio Calabria che nei giorni scorsi segnalava «di aver ufficialmente posto all'attenzione degli organi di polizia internazionale e della polizia nazionale slovacca la necessità di monitorare le attività del gruppo dei calabresi arrestati perché sospettati di essere coinvolti nell'omicidio del giovane giornalista Jan Kuciack e della sua compagna». Pace pur sottolineando di non voler entrare nel merito dei provvedimenti di scarcerazioni adottati dall'autorità giudiziaria slovacca ha fatto capire che il suo ufficio continuerà a investigare e, se necessario, a colmare eventuali buchi nelle indagini condotte in Slovacchia.
«Ciò che posso assicurare ha detto Gaetano Pace - è che noi come Dda di Reggio Calabria continueremo a indagare su tutti quei gruppi di 'ndrangheta che operano in Europa tutte le volte che ci sono elementi da approfondire». E un rapporto ufficiale della Dia al Parlamento, datato 2013, riporta come «attiva in Slovacchia» la presenza di personaggi con precedenti di tipo mafioso, concentrata sul traffico di droga.
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