MilanoQuasi sei anni alla guida della Procura di Milano, e mai un'intervista. Ieri Edmondo Bruti Liberati spezza la linea seguita finora per entrare in campo con forza in difesa di Ilda Boccassini, la sua vice, protagonista dell'inchiesta per il caso Ruby affossata martedì scorso dalla clamorosa sentenza della Cassazione. L'assoluzione definitiva di Silvio Berlusconi da tutte le accuse ha portato inevitabilmente la Boccassini sotto il tiro delle critiche: il procuratore aggiunto è stata accusata da più parti (e non solo da destra) di avere scatenato contro l'allora premier una offensiva giudiziaria senza precedenti, impadronendosi di una indagine su cui non aveva alcuna competenza, penetrando nella sfera della vita privata di Berlusconi senza lo straccio di una prova della sua colpevolezza e trascinandolo, infine, sul banco degli imputati con accuse rivelatesi infondate. «Attacchi vergognosi», li definisce ieri Bruti. «Proprio le motivazioni della sentenza d'appello, e vedremo quelle della Cassazione, dimostrano come l'indagine fosse doverosa», dice il procuratore capo. «I pubblici ministeri né vincono né perdono i processi: fanno le indagini e le portano all'analisi dei giudici».
È un gesto carico di significato, quello del procuratore capo di Milano. Proprio perché Bruti sa perfettamente che in realtà i processi si vincono e si perdono (tant'è vero che la statistica sulle condanne ottenute fa parte del curriculum di ogni pm) la scelta di schierarsi senza se e senza ma accanto alla Boccassini nel momento della sconfitta è una scelta per alcuni aspetti coraggiosa. Anche perché i percorsi storici di Bruti e di Ilda sono tutt'altro che paralleli, fin dai tempi in cui la Boccassini venne messa alla porta di Magistratura democratica, dove era accusata di essere più un poliziotto che un magistrato, e lei ripagò pochi anni dopo la cortesia accusando Md di portare la colpa della morte di Giovanni Falcone. Molta acqua e molte inchieste sono passate sotto i ponti. Oggi Ilda Boccassini è all'interno della procura di Milano il più forte alleato di Bruti; è stata lei a sostenerlo con più energia nello scontro (vittorioso) con l'aggiunto Alfredo Robledo; sarà lei, nel giugno prossimo quando si aprirà la corsa al dopo-Bruti, uno dei più autorevoli candidati alla successione. Insomma, a dispetto del diverso Dna, oggi i destini di Bruti e della Boccassini sono strettamente incrociati. E non è azzardato ipotizzare che proprio la dottoressa abbia chiesto al procuratore di non restare inerte di fronte alle bordate che le piovevano addosso nei giorni scorsi.
Così, ecco il soccorso di Bruti. Che per difendere la collega arriva a sostenere persino che nella vita della Procura di Milano l'inchiesta Ruby abbia avuto un ruolo «marginale», quando era chiaro a tutti che sul processo a Berlusconi si giocava una partita cruciale. Certo, altre affermazioni di Bruti - che per la sua esternazione ha scelto i microfoni di SkyTg24 , con una lunga intervista a Maria Latella - sono più solide: come quando rivendica ad onore della Boccassini le grandi inchieste condotte in questi anni contro la 'ndrangheta, e sfociate in centinaia di condanne definitive.
Ma Bruti sa bene che ad essere in questione non sono né la capacità né la determinazione con cui la dottoressa ha svolto il suo ruolo di capo del pool antimafia (sebbene sul suo rispetto delle regole anche in questo campo al Csm c'è chi ha più di un dubbio) ma il modo in cui si impadronì alla faccia di ogni norma dell'inchiesta Ruby, che con il pool antimafia non aveva nulla a che fare, ma aveva il pregio di poter puntare su Berlusconi. Ad assegnare il fascicolo alla Boccassini fu lui, Bruti Liberati. Anche così, forse, si spiega l'intervista di ieri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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