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Il solco tra azzurri e Carroccio Ma il dialogo non è interrotto

L'accusa agli alleati storici: «Politica economica decisa dal M5s». L'insofferenza del Nord apre a nuovi scenari

Il solco tra azzurri e Carroccio Ma il dialogo non è interrotto

Roma Forza Italia affila le armi dialettiche e sperimenta trovate «acchiappa-visibilità», come il ricorso ai gilet azzurri in aula. In sostanza fa il proprio lavoro di opposizione cercando di dare sostanza alla propria protesta e di farla percepire dal proprio elettorato. Impresa sicuramente difficile visto la natura «spuria» di un governo partecipato da una forza di centrodestra in questo momento ai massimi storici di popolarità.

Il voto finale sulla manovra sembra, però, approfondire il solco tra Lega e Fi. Durissima la reprimenda che dagli azzurri viene indirizzata verso gli «alleati» (tali almeno a livello locale): «La manovra è stata fatta affidando le chiavi della politica economica al M5s che non vuole sviluppo e ricchezza ma solo alimentare odio e invidia sociale. Ebbene: noi con loro non c'entriamo niente e non vogliamo avere niente a che fare», scandisce Roberto Occhiuto in sede di dichiarazione di voto finale. La replica dalla Lega non si fa attendere. «Fi prova disprezzo per questa manovra e anche per noi? Se non ricordo male, il governo Monti lo appoggiarono loro e la macelleria sociale iniziata con quel governo è partita proprio dalla legge Fornero, che oggi proviamo a correggere», mette in chiaro Riccardo Molinari.

Nella disfida delle parole le capogruppo azzurre avevano imbracciato l'argomento forse più scomodo per il Carroccio, ovvero il ricordo del tradimento del mandato elettorale. «Ricordiamo agli amici della Lega che esiste qualcosa di molto più importante del loro contratto di governo, è il contratto che tutto il centrodestra ha stipulato con il popolo italiano. Forse lo hanno dimenticato. Noi no. È e sarà sempre la nostra bussola». Ieri poi Mariastella Gelmini su Twitter ha messo in campo numeri difficili da contestare. «Con questa manovra il governo ricava 76 mln di euro all'anno dal taglio delle pensioni di platino. Mentre, con il blocco delle indicizzazioni, taglia 3 mld e 600 mln in tre anni a 7 mln di pensionati. È una manovra contro il buonsenso e i pensionati».

Il filo, però, non è spezzato. Antonio Tajani, parlando con i gruppi parlamentari ha invitato a evitare di rispondere direttamente a Matteo Salvini, evitando la contrapposizione personale. A suo dire il leader della Lega si vuole prendere un pezzo dei Cinquestelle, oltre all'Opa sull'elettorato del centrodestra lanciata da tempo, ma alla prova dei fatti e alla lunga l'allargamento della base leghista potrebbe realizzarsi con maggiore facilità a scapito dell'universo grillino, più sensibile e interessato a certi richiami e sirene. Inoltre se alla Camera i rapporti tra Forza Italia e Lega sono pessimi al Senato l'interlocuzione resiste. Dopo l'accordo sull'Abruzzo invece sono migliorati i rapporti tra Lega e Fratelli d'Italia. Certo Giorgia Meloni ieri in sede di dichiarazione di voto non si è risparmiata sottolineando come «tagliare le pensioni più alte senza distinguere tra chi ha versato i contributi e chi no (tra contributivo e retributivo quindi) perché chi ha versato tutti i contributi ha accantonato soldi suoi, non è giustizia sociale ma è comunismo, è esproprio proletario», soprattutto quando si toccano «pensioni da 1500 euro lordi che certo non sono pensioni d'oro». I parlamentari di Fratelli d'Italia, però, registrano nel corpaccione leghista, soprattutto del profondo Nord, una crescente insofferenza verso i Cinquestelle. E sotto traccia iniziano a confrontarsi sui possibili scenari futuri.

FdF

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